giovedì 14 aprile 2016

It takes two to tango

Anche se le sue mani stanno diventando come gelide come blocchi di ghiaccio, e sta rimpiangendo di non aver preso i guanti, Brendan non riesce a fermarsi.
La bella moto nera romba per le vie di Philadelphia ed è ormai quasi l'alba, grigia e fredda come sempre.
Il cuore gli galoppa in petto, più veloce dei giri del motore, e nella testa è anche peggio. Non riesce a smettere di pensare.
Anzi, i pensieri gli corrono dietro come una muta di bestie selvagge e, per quanto possa andare forte, per quanto strette possano essere le curve, ha il sentore che possano arrivare a mordergli le chiappe da un momento all'altro.
Il primo istinto è quello di urlare fino a farsi dolere la gola. Tanto, chi mai l'avrebbe sentito?
Eppure non un suono gli esce dalla bocca nascosta e appena socchiusa. Sente un groppo in gola, un grumo di angoscia che non c'era da anni e non si scioglie.
Era bastato un attimo, pochi minuti appena, ed eccolo tornato. Che bell'amico fedele.

E la mente viaggia ancora, torna per l'ennesima volta a poche ora prima, quando andava tutto bene.


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Quella sembra una notte tutto sommato tranquilla, il tempo indeciso e primaverile.
Le pagine del libro che sta leggendo sembrano un ammasso confuso di inchiostro.
Brendan batte le palpebre, strofinandosi gli occhi stanchi e poi il viso, guardando l'orologio digitale appeso alla parete, unica decorazione in una casa quasi spoglia.
Quasi le due del mattino...ora di andare a dormire.
Il suo piccolo appartamento è immerso in un silenzio sereno, ma ogni volta che le finestre tremano, al passaggio di un mezzo più pesante o dal motore chiassoso, il telepate sobbalza e si guarda intorno allarmato.

"Che palle."
Ha finalmente ripreso a riposare in modo più o meno regolare, senza incubi terrificanti, e le giornate stanno tornando alla regolarità: è perfino riuscito a tornare a lavoro.
Per come stanno andando le cose può anche considerarsi felice.

La suoneria del cellulare, la solita anatra starnazzante che tanto scandalizza chi gli è intorno, lo coglie di sorpresa mentre sta per alzarsi dal vecchio divano.
Brendan osserva lo schermo, che ogni tanto sfarfalla, indeciso se funzionare o meno. Il numero non gli è conosciuto, e il sorrisetto che aveva cominciato a nascere sul suo viso si dissolve.
Il telepate si affretta a rispondere, risiedendosi, improvvisamente teso.

"Chi è?"

"Non si dice nemmeno pronto? E dire che veniamo dalla stessa famiglia!".
 La voce all'altro capo del telefono, specialmente la risata che viene dopo, gli fa perdere quel poco di colore che ancora rimane sulle guance e gli fa crollare un peso in gola e sulle spalle.
"Sei maleducato, fratellino."

"Constantine."
Brendan si alza dal divano con uno scatto talmente violento che le molle cigolano, e comincia a misurare il piccolo ambiente a passi larghi, parlando a brevi soffi da gatto rabbioso.
"Che cazzo vuoi da me?"
La presa sul telefono si fa così forte che perfino le nocche sbiancano.

"Quanta veemenza. Abbiamo cominciato a parlare a domande?"
Constantine ride di nuovo, e per un attimo sembra tornato il ragazzino di una volta, quello che gli ha insegnato a giocare a basket e a strimpellare la chitarra.

"Volevo solo sentirti. Non sei venuto per la caccia alle uova e non ti sei nemmeno scusato. Nonna Jenna si è arrabbiata da morire con te."

"Tu che mi vuoi sentire? Questa è nuova!"
Brendan deve mordersi la lingua e contare fino a dieci per non urlare, ma non riesce a contenere il sarcasmo. Le parole gli escono di bocca a fatica, e solo a costo di lunghi silenzi.

"Cosa ne dice la tua cara mogliettina? L'ultima volta che vi ho visti...come ha detto? Che le faceva schifo avere un mutante...no, un mostro alla stessa tavola e nella stessa famiglia. E mi pare tu fossi d'accordo, che bravo marito amorevole. Che vuoi?"

Cade un silenzio profondo, ma il telepate si rende conto di non essere capace di staccare il cellulare dall'orecchio, anche se avrebbe tanta voglia di farlo.

"...scommetto che mamma ti ha dato il mio numero." Non sembra nemmeno una domanda, ma suo fratello ride di nuovo.

"Vai subito al punto, eh? Ti ricordavo più chiacchierone. Mamma non c'entra niente col numero, anche se farà i salti di gioia se scopre che ci siamo parlati. L'ho rubato dal cellulare di Hector.".
Ammette, candido e apparentemente ancora allegro, la voce brillante, impermeabile alla rabbia che ormai sembra essersi impossessata del fratello minore.
"Ti sto chiamando dall'ufficio. Louise oggi è tornata a casa prima e io avevo...del... lavoro arretrato."

Di nuovo cala un silenzio pieno di disagio e cose non dette. Brendan continua a girare per la casa come una tigre in una gabbia troppo piccola, sforzandosi di non dare calci a niente.
"Allora? Quando cominciano gli insulti, ora che hai la fortuna di potermi raggiungere?"

La voce di Constantine si fa improvvisamente seria.
"Brendan..." Un sospiro, e l'uomo continua a fatica. Il suo buonumore apparente defluisce via, come acqua da uno scarico. "Non ho...non voglio...".

Un sospiro, e finalmente mette le parole insieme, con falsa sicurezza.
"Ho saputo di quello che sta succedendo a Philadelphia, e volevo assicurarmi che stessi bene, visto che non dai mai notizie di te. Tutto qui."

Brendan si passa una mano sul petto, lì dove è stato colpito dalla melma dello scorpione, le ustioni guarite che, sotto la maglia, hanno lasciato la pelle ancora morbida e nuova, e alcuni segni irregolari che probabilmente non se ne andranno nemmeno col tempo.

"Sto una meraviglia. Strano che cominci a preoccuparti proprio ora. Di solito fai finta di non conoscermi, quando va bene, altrimenti passiamo direttamente alle offese, eh?"

"...dobbiamo parlarne proprio ora, a telefono?" Constantine sembra smarrito, e sembra aver perso tutta la sua sicurezza, di botto.

"Certo che no. Se fosse per me non ne parleremmo proprio."

Un altro silenzio sbigottito accoglie le parole feroci del telepate, e quella dell'avvocato Scott sembra quasi una supplica.
"...e dai, fratellino...non voglio litigare. Mi faceva piacere..."

"TI FACEVA PIACERE?"
L'urlo di Brendan fa calare il silenzio totale dall'altra parte del telefono.
"Ora stammi a sentire, brutto pezzo di stronzo..." Ringhia, senza più riuscire a controllare la rabbia che sale a fiotti, come lava bollente.

"Non ho intenzione di parlare con te. Da quando mi chiami alle due di notte per chiacchierare e chiedermi come sto? Non voglio sentire niente di qualunque cazzata ti esca dalla bocca, e se provi a chiamarmi di nuovo vengo di persona a prenderti a sberle, hai capito?"

"Brendan...per favore..." La voce di Constantine è stranamente bassa, un sospiro, ma il telepate non si ferma, furioso.

"Niente per favore. Che cazzo pensavi, chiamare come se nulla fosse e aspettarti il tappetino di benvenuto? Vaffanculo. Stai lontano dalla mia vita."
 Senza aspettare nient'altro, senza nemmeno ascoltare quello che suo fratello ha da dire, Brendan interrompe la telefonata, spegnendo subito dopo il cellulare, il respiro che gli esce rapido dai denti digrignati.

Lo stesso telefono viene lanciato sul divano, mentre il telepate afferra la giacca, le chiavi di casa, il casco e le chiavi della moto e apre la rumorosissima, scassata porta di casa, per poi chiuderla senza grazia, con un botto.

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