domenica 31 dicembre 2017

And a happy new year


Sta tenendo da così tanto tempo le mani sotto l'acqua fredda che ha perso sensibilità, e strofinarle tra loro per togliere ogni residuo di polvere  della Desert City sta diventando un insieme di gesti goffi.

 Per avere le mani pulite devi contare fino a dieci. Da bravo, Brendan. Conta fino a dieci...

-Uno, due...
Non si è nemmeno reso conto di contare, a bassa voce, come gli aveva insegnato a fare sua madre. In realtà non si è nemmeno reso conto di aver ricominciato  per la terza volta.


-Che cazzo ci fate qui, comunque? Non vi aspettavo. Cioè, non è manco momento di viaggiare.

-Siamo venuti a dare una mano, che domande!
 Le parole tranquille di Hector lo fanno inciampare tra le valigie, e resta a guardare i suoi due fratelli, maggiore e minore, che hanno lo stesso identico sorriso consapevole stampato in faccia.
-Io sono un medico, ho l'impressione che finirà per servirci un botto. E Stan...- Il ragazzo esita un attimo, stringendo le labbra. -Viene qui per quello che è.

E sotto i suoi occhi allibiti, l'uomo annuisce. 
-Gliel'ho dovuto dire. E combatteremo, io e Ywain. Non è più il tempo di stare in silenzio. Saremo al tuo fianco...tutti e tre.

-Tre...quattro...

Stanno facendo tardi, ma per qualche motivo gliene importa ben poco.
Si sta vestendo di tutta fretta con la Suit, pronto a correre ancora una volta e immergersi in una giornata piena di punti interrogativi, ma il tepore quieto di casa sua è allettante.
Gli occhi corrono inevitabilmente sulla figura morbida di Josephine, sui capelli scuri, sugli occhi che ora lo scrutano perplessi, sul broncio che ha messo su al proseguire di una discussione già interrotta da baci furiosi.

-Fai attenzione al White, ok? Ci sono stati alcuni avvistamenti che non mi piacciono in zona.

Lo sbuffo di Josephine sposta la frangetta, sollevando le ciocche, ma la donna sta sorridendo.
-Ancora? Non ti preoccupare, faccio attenzione. C'è John con me, non ti ricordi? E non fare quella faccia...solo perchè sono incinta non vuol dire che non posso muovermi, no? Non sono malata...voglio solo vedere come vanno le cose!

Brendan sospira, allungandosi per rubarle un altro bacio, una carezza al ventre che già comincia ad arrotondarsi, lentamente.
-Mi mancherete un sacco per queste...due ore? E dici a John che se vi succede qualcosa lo strozzo!

Si becca il successivo scappellotto dietro la nuca con una risata che non si spegne nemmeno all'ennesimo bacio.

-Cinque, sei...


Non ha intenzione di andarsene senza combattere, se questo è il suo destino. Lo Psych Blast, la sua arma, è in frantumi tra le sue mani. La testa gli scoppia.
Brendan vede con la coda dell'occhio Constantine che lo affianca: Constantine nella sua forma di bianca creatura quasi luminescente, la testa allungata come la fiamma di una candela.
Ha imparato in fretta a combattere, come se fosse nel suo sangue da sempre: Lady Ywain, la Luce dei Giusti, guida le azioni di un sempre più stanco avvocato Scott tutte le volte che quei candidi filamenti ricoprono la sua pelle.

Sono in trappola e lui non riesce più ad alzarsi. Il rombo della grande battaglia nella Old City, vicino ad una YGS che brucia, si è trasformato nel rombo del suo cuore che si impegna a battere quel poco sangue che gli resta.
Qualcuno lo sta prendendo per le ascelle e lo trascina al sicuro, dietro una macchina. Negli occhi luminescenti della creatura riesce ancora a vedere la preoccupazione di suo fratello maggiore, quello che un tempo odiava, quello che si era trasformato davanti a lui un giorno di fine estate, in uno squallido appartamento di Albany.

-Ce la fai a resistere? 

-Non...lo so. Stan, non ce la facciamo a raggiungere gli altri, io...

Il simbionte lo zittisce con un gesto della mano affusolata, gli occhi fissi sul fronte nemico in avvicinamento.
-Io ho un'idea. Aspettami qui...e resta nascosto.

-Non fare cazzate...Stan, non...

Gli avevano detto che in punto di morte la vita scorre davanti, ma quello che può vedere da dietro l'auto è una figura  brillante che piomba come una freccia tra armate nemiche ed aliene, prima che quel candore faccia spazio al buio dell'incoscienza.
Nelle orecchie, il fragore di un'ultima grandiosa esplosione.

Quando lo ritrovano la sua vita è appesa ad un filo per l'ennesima volta, tra le mani stringe lo Psych Blast spezzato.
Di Constantine invece ritrovano solo qualche pezzo, sotto le macerie del palazzo che aveva fatto esplodere ostruendo il passaggio delle forze nemiche.



-...sette, otto...

Le notizie in televisione gli arrivano ovattate e il gelo sceso nelle ossa non è quello della temperatura in una casa sconvolta da quella che sembra una fuga.
Un'ultima occhiata, un ultimo bacio salato, un'ultima carezza. Nella mente non abbastanza potere da alzare una forchetta, un mal di testa perenne che gli strazia le tempie.
Brendan fa in fretta a correre via, nella testa ancora la voce della telecronista che elenca le norme delle nuove stringenti leggi sui superumani, il cuore stretto in una morsa.

Aveva cominciato a sentire allora il sapore di cenere in fondo alla gola, e non se ne era più andato.

-...nove...dieci.


Ecco. Dieci secondi passati, altri dieci, e le sue mani sono arrossate. Se le guarda, rigirandole alla luce artificiale dei neon nella base, la mente che fatica a tornare al presente.
Stringe le labbra e prende un respiro profondo.
Tra qualche ora passerà un altro anno.
Non sa perchè ma riesce ancora a trovare qualcosa che assomiglia alla speranza in fondo ad un cuore fragile come vetro, braci che dormono sotto uno strato spesso di ricordi.

Non sa nemmeno lui da dove venga quell'ottimismo, non ricorda la musica venire dal nulla come in un sogno, non rammenta una ciocca donata a qualcuno di poco diverso da un fantasma venuto dal passato.
Brendan però sa che continuerà a combattere. Se non per lui, per quelli che verranno.

Forse non siamo i pilastri, ma i meri ingegneri per quelli che sosterranno il futuro che verrà. Forse un giorno dalle macerie si costruirà qualcosa di buono, ed è compito nostro fare in modo che avvenga.

Tra poco passerà un altro anno, sì. Altri ricordi, altro dolore.
Ma lui combatterà.

Per Josephine e i loro sogni mai avverati.
Per la sua famiglia e il ricordo di giorni felici.
Per Max con l'anello piumato all'anulare.
Per Connor e il ghiaccio intorno al suo cuore.
Per Cole e Mark nei loro paradisi artificiali.
Per Arthur, per i frammenti che ne restano.
Per John e l'uomo saldo che è diventato, anche sotto la maschera che è costretto a portare.
Per Vadir e i suoi bambini, per Isabelle, per Routh.
Per tutti gli Alex, per tutte le Flora del passato, presente e futuro.
Per i vivi, e per i loro morti.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci.

Quando guarda l'uomo al di là dello specchio sta sorridendo. Ma è un'espressione feroce.
L'acqua continua a scorrere mentre lui torna a contare per la quarta volta, abbassando lo sguardo sulle mani nuovamente insaponate.


martedì 26 dicembre 2017

Storyteller

Quando si sveglia si accorge di avere sapore di cenere in bocca.
Il suo sogno di luce gli si sfalda davanti: digrigna i denti, scava tacche nel labbro inferiore.
Il dolore pungente gli conferma che sì, è sveglio.

Vorrebbe solo chiudere gli occhi e dormire ancora, ma è già tutto troppo lontano, nel mondo delle cose fantastiche, forse in un'altra dimensione.

Allora mette i piedi a terra e si alza.
Trascorre un altro giorno danzando sull'orlo dell'abisso.
Rincorrendo quell'unico, glorioso sogno di luce.







lunedì 5 giugno 2017

Good things come to those who wait

Philadelphia, 15 ottobre 2040, ore 8.00

Buongiorno telespettatori, e benvenuti alle previsioni del tempo. Sembra che le temperature non abbiano intenzione di scendere. Un'estate prolungata sta...

Brendan spense la televisione con un gesto pigro, continuando ad apparecchiare accuratamente la tavola per una colazione ritardata. Quell'ottobre era cominciato nel migliore dei modi, temperature alte e gradevoli gli avevano permesso di indossare le sue amate e assurde camicie ancora per un po', come quella che aveva addosso ora: una fantasia a pinguini che stonava tanto con i suoi quarantadue anni e i capelli grigi, sulla via di diventare bianchi nonostante fosse ancora giovane.
La luce del mattino era ancora gradevole, soffusa, e riempiva la loro bella casa nel cuore della Old City di una festa dorata. Tutto era quiete a televisore spento. Quasi tutto.

"Ethan, ti ho visto! Non osare mettere le tue manacce sui pancake prima di essertele lavate!"

"Mamma! E dai!"

Il rimprovero di Josephine al loro secondo figlio quattordicenne, che si era avvicinato alla cucina con la rapidità  che la sua mutazione gli aveva donato, lo fece sorridere sotto i baffi. Brendan gli diede uno scappellotto mentre passava per recuperare il vassoio con i pancake incriminati, facendolo lamentare.

"Devi imparare ad essere più furtivo. Sei velocissimo, ma probabilmente un elefante in una cristalleria fa meno rumore. Stai continuando ad allenarti con Mark?"
Ethan aveva ereditato il broncio e il rossore facile in zona guance dalla madre.

"Ma papà! Sono migliorato! Il preside Willson ha detto che..."
La protesta di Ethan scivolò nel vuoto quando un pancake, dal vassoio che era stato appena posato sulla tavola, cominciò a galleggiare pigramente, diretto verso un punto indefinito alle loro spalle, seguito dagli occhi stanchi degli anziani animali di casa.

"Questo è migliorare, schiappa."
Alexander, il maggiore, si stava avvicinando ai sedici anni e il sorriso da faccia di bronzo era tutto suo padre. Senza saperlo assomigliava in modo quasi doloroso, occhiali a parte, a Matthew, il figlio dell'altra dimensione, la cui unica foto, lasciata dal Brendan e Josephine alternativi, si era confusa con quelle della sua infanzia.

Era così concentrato a far levitare il pancake verso di lui che non si accorse nemmeno della madre che, caraffa piena di succo di frutta in mano, si era schiarita la voce in modo così perentorio da far assumere un'identica espressione colpevole a Brendan ed Ethan, che si erano fissati a disagio.

Alexander invece non aveva smesso il ghigno da volpe.
"Che c'è? Non sto mettendo le mie manacce su niente."

E, con aria di trionfo, aprì la bocca, pronto a prendere il primo morso di pancake volante, dandogli un ultimo incauto strattone.
Sciaff.

Il suono del colpo di pancake alla faccia del giovane telecineta dissolse quella tensione sotterranea, facendo ridere tutti e stampando sulle orecchie del ragazzo un bel colore rosso acceso.


"Chi è la schiappa ora, perdente?"
Il tono cantilenante di Ethan fece ringhiare di rabbia Alexander, che, gli occhiali  ancora tutti storti, si lanciò sul fratello minore pronto a dare battaglia ,venendo schivato senza alcun problema e dando vita ad un curioso balletto nei pressi del tavolo della colazione.

*Se non la smettete in questo esatto istante stasera vi scordate di andare a dormire con i ragazzi da zio Max*
Bastò una comunicazione telepatica e perentoria di Brendan, rivolta a tutti e tre, a far cessare subito le ostilità. Lui e Jo si batterono furtivamente un cinque mentre i due ragazzi più grandi si sedevano intorno al tavolo, brontolando, seguiti dagli occhi svegli di Albert e Stephen.

"Siete infantili..."

"...e fate chiasso."

Da bravi gemelli, i due dodicenni non mancavano mai di completare le loro frasi a vicenda. L'immagine speculare l'uno dell'altro, identici al padre fino all'ultimo riccio, si erano già seduti, vestiti in modo formale e lievemente maniacale.
Nessun potere per loro, se non un'intelligenza da oscurare quasi quella della madre e la mania per l'ordine ereditata da Brendan. Stavano leggendo già a quell'ora del mattino, seri come professorini, bevendo con gesti paradossalmente sincronizzati il loro latte con cacao.

La variegata ciurma Foster Scott era quasi al completo, con Alexander ed Ethan che ora avevano preso a ridere per chissà cosa mentre i due gemelli facevano colazione in silenzio, e Brendan scrutò i suoi figli con un sorriso soddisfatto.
Mancava solo qualcuno all'appello, una persona sola in verità, e Jo si avvicinò alle scale che portavano alle stanze da letto, al piano superiore, chiamando a gran voce.

"Dorothy! La colazione! Su che dobbiamo andare a prendere i nonni in aeroporto, lo sai che non possiamo fare tardi! Non farmi salire!"
Nessuna risposta, e la donna, che Brendan ancora si sorprendeva a guardare con lo stesso amore e lo stesso incanto dei suoi ventisei anni, si voltò verso di lui, con uno sbuffo.

"Vai a vedere che sta combinando? Io finisco di prepararmi, visto che qualche Scott a caso di mattina riesce sempre a farmi perdere tempo..."
Brendan riuscì a rubare alla moglie un bacio piuttosto promettente e un risolino malizioso, prima di salire le scale rapido,  diretto verso la camera della loro unica figlia femmina, l'ultimogenita, bussando sulla porta decorata.

"Posso entrare, sei sveglia, honey? Perchè non scendi?"
Nessuna risposta da parte della piccola che, a nove anni, cominciava a crescere e protestare ogni volta che qualcuno cercava di entrare non annunciato nella sua cameretta.
La stranezza della cosa fece immediatamente preoccupare il telepate, che si affacciò nella stanza con un'espressione assai apprensiva.

Dentro era buio, si distinguevano appena le sagome dei libri di scuola, della scrivania e dei pupazzi. Brendan accese la luce guardandosi intorno perplesso, e quasi gli venne un infarto quando vide il letto vuoto e sfatto, senza coperte.
"...honey?"

"Spegni la luce!"
Il lamento della sua figlia più piccola lo riempì in eugual modo di timore e sollievo, e si avvicinò al letto, scoprendo la bambina seduta a terra tra le coperte, abbracciata all'ormai vecchio Prof che, ormai, era più peluche che gatto, e come al solito faceva sonore fusa.

"Dorothy, cosa succ..."

"La luce!"
Quella protesta dolorante coprì all'istante ventisei anni di tempo e spazio, e Brendan ebbe un lampo improvviso: se stesso sedicenne accartocciato sul pavimento, la testa nascosta sotto le coperte e sua madre che sbraitava. Senza dire niente si precipitò a spegnere la luce, facendo ripiombare la stanza nel buio e andando un po' a tentoni verso la figlia, accomodandosi poi accanto a lei, aspettando.

Brendan sospirò di sollievo quando fu lei stessa ad avvicinarsi e posargli la testa sulla spalla, abbracciandolo.
"Mi fa male la testa."

"Lo so. L'ho capito."

"Papà, che mi sta succedendo?" La voce di Dorothy era ancora quella della bambina spaventata che appena qualche anno prima scivolava nel lettone durante le notti di tempesta. "Perchè così spesso? E' normale?"

Il telepate guardò la figlia ancora più sospettoso. Tra tutti era Dorothy quella che non si lamentava mai.

"Da quanto?"

La bambina sembrò imbarazzata, e lo abbracciò ancora più forte, affondando la testa sulla sua spalla.
"Non lo so. Un pochino." Di nuovo restò in silenzio per un po', tesa come una corda di violino, e Brendan lo poteva sentire nell'abbraccio.
Il telepate aspettò che fosse lei a parlare, la più orgogliosa della ciurma, accarezzandole nel frattempo i capelli, ricci come i suoi.
Dejà-vu, ancora una volta. Lui sedicenne, spezzato da troppe botte, la madre che lo confortava quando dopo un incubo si nascondeva per la casa.

"Posso dirti un segreto, papà? Uno di quelli grossi però."

Brendan sorrise divertito, una punta di preoccupazione ben nascosta. Non troppa, però.
"Sure, honey. Go ahead, dimmi.". Aveva quasi l'impressione di sapere cosa sarebbe successo. Forse era un pochino presto rispetto agli altri, ma non era quello a mettergli ansia. Come per Alex ed Ethan, le analisi alla nascita non avevano mentito.

*Mi sa che sono come te. Posso parlare in testa alla gente. Non sei arrabbiato che non te l'ho detto subito, vero?*
Un formicolio e una comunicazione mentale che  si rifiutò di bloccare, e, nella penombra, Brendan riuscì a notare gli occhi della figlia che lo scrutavano enormi, un cervo bloccato dalle luci di un'auto, lo stesso sguardo con cui aveva affrontato il mondo per la prima volta, nove anni prima.

Tutta la preoccupazione si sciolse come neve al sole, sostituita da un'ondata di affetto immutato e un orgoglio sotterraneo.
Sua figlia.
*No, Honey. Ero preoccupato per i mal di testa. Ma ora che so perchè non lo sono più.*

Dorothy sembrava ancora dolorante, ma l'aver stabilito quel contatto telepatico aveva fatto evidentemente scemare il mal di testa fino a livelli più sopportabili, dandole un atteggiamento più vivace e la solita parlantina sciolta.
*Allora con te posso parlare così? La mamma se la prenderà che non gliel'ho detto a lei prima? Volevo dirlo ad Alex ed Ethan. Al e Steph già lo sanno, ma hanno promesso di stare zitti, o avrei detto ad Alex dove stanno le caramelle nascoste ad Halloween scorso.*

La ragazzina si imbronciò, testarda, restando però ancora abbracciata, per una volta cercando quasi cercare un rifugio che non venne rifiutato da Brendan. La lasciò invece parlare, fece scorrere quel flusso telepatico, ancora rudimentale ma potente come lui non è mai stato all'inizio. Diventerà forte come lo stanno diventando tutti i suoi figli, anche chi di gene X non ne ha.
*Io ho provato a farcela da sola, però non sapevo con chi parlare, e avevo paura. Se lo dicevo prima a zio Max poi ti saresti offeso.* E poi, all'ultimo momento, sembrò preoccupata. *Non sei offeso, vero?*

Brendan rise di cuore, scuotendo la testa e cercando di arruffare i capelli della figlia, che stavolta protestò vivacemente.
*Certo che no. Non me la prenderei mai, ma non c'è bisogno o ragione di aver paura. Ci sono io, c'è la Scuola se vuoi. Le cose sono cambiate da quando noi eravamo ragazzi, l'hai visto con i tuoi fratelli."

E le cose sono davvero cambiate un sacco da quando ha lasciato la carica di Preside per tentare un'avventura politica che per ora lo sta portando molto più lontano di quanto avesse potuto mai immaginare, sindaco e poi chissà.
Sono cambiate tante cose, e Philadelphia è diventata una fucina, il centro delle cose che cambiano davvero. La Scuola ha aperto da qualche anno anche agli umani, e la sede al South più i programmi di sensibilizzazione nelle scuole stanno creando una generazione più consapevole, tanto da essere da esempio per altre YGS e altre città, e allentare la morsa di leggi come l'SSA.
Tutti a combattere, così come fu per Magnus, per un futuro che sembra davvero comune, stavolta. Forse alcune lezioni sono state davvero imparate, a forza di ingiustizie, sangue e sudore.

*Le cose le puoi cambiare anche tu....ed Alex, Ethan, Al e Stephen...tutti voi ragazzi. Ma noi ci saremo sempre, a guardarvi le spalle. Imparerai. Andrà tutto bene.*
La ragazzina sembrò rincuorata e meno dolorante, tanto che si lasciò scappare una risatina quando Brendan riprese a parlare, stavolta a voce.

"Ora però coraggio, alziamoci e andiamo giù a dare la notizia. Scommetto che Ethan sarà invidiosissimo."

Dorothy rise, scattando in piedi, Prof ancora in braccio, ed aprì la porta. Una lama di luce dorata invase la stanza, e lei non si lamentò, battendo solo le palpebre più volte del dovuto. Esitò solo per un attimo, gli occhioni verdi ancora innocenti di nuovo pieni di preoccupazione.
"Ne vale la pena? Tutto?"

Il sorriso di Brendan si fece dolce. Quello che una volta, tanti anni prima, tanti da sembrare un'altra vita, fu un ragazzo solo, spaventato e ferito, uno studente incerto, un professore e un Preside e che è diventato un politico, un marito, un padre e soprattutto un mutante annuì, fiero, gonfiando il petto.

"Totally worth it. Ora andiamo."

E cercò di nuovo di arruffare i capelli di sua figlia, che scappò via, strappandogli una risata e delle promesse di vendetta mentre la rincorreva per le scale.
Così correndo si diressero verso il soggiorno, pronti a fare una colazione un po' più speciale delle tante altre che sono venute o seguiranno, un po' meno speciale di altre ancora, in quel ciclo così fantastico e assurdo che si chiama vita.



    I may not have gone where I intended to go, but I think I have ended up where I needed to be.   (Douglas Adams)



domenica 21 maggio 2017

So far so good

                                                           Philadelphia, 17/12/2025, ore 2.45

Neve.

Come nelle migliori carole natalizie scende lenta, ovattando i rumori della strada già addobbata per Natale, lasciando che la città si assopisca sotto una coltre bianca che l'indomani farà chiudere uffici e scuole.
La casa e l'albero sono stati decorati di azzurro, e la risposta a quella scelta così bizzarra e poco natalizia sta nel piccolo fagotto avvolto in una copertina ad aeroplanini, che Brendan stringe e culla, mentre guarda la neve cadere.

"Lo sai, Alex? Io e tua mamma ci siamo sposati che cadeva una neve proprio come questa."
Perfino il suo tono di voce è basso, morbido, mentre continua ad andare avanti ed indietro, cercando di far addormentare quel piccolo di pochi giorni che ora sbadiglia, gorgogliando, i piccoli pugni chiusi.
Un'ondata di tenerezza sconvolge il telepate, che si china su suo figlio per sfiorare con le labbra la testolina coperta da una sottile lanugine scura, nera, il colore dei capelli di Josephine, scoprendo che, nonostante la stanchezza di svariate notti insonni, è felice come non lo è mai stato.

L'ombra incombente della nave vasaariana, la nave aliena, non c'è più, andata via con promesse di amicizia dopo un'aspra lotta; tutto sembra scivolato via come un brutto sogno.
Resta solo una bella nottata invernale e un neonato tra le sue braccia, quella piccola creatura che è diventato il centro del loro mondo.

"C'era un sacco di gente." Una pausa, e sorride stancamente, continuando a cullare Alexander, avvolto in quella copertina e nella sua bella tutina da Babbo Natale, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso, quasi incredulo.

"C'era un sacco di gente anche quando sei nato tu. Sei già una superstar."

Ride piano mentre va verso il divano, il suo compagno di sventure e pensieri, continuando a dondolarsi, e dondolando ancora le braccia quando si siede, la testa altrove.
Eh sì, c'erano tutti, e quel giorno la stanza di ospedale era rimasta piena tutto il giorno.
C'erano i suoi genitori, quelli di Jo e i suoi fratelli.
C'erano Constantine ed Hector, e suo fratello maggiore aveva gli occhi lucidi di chi si è commosso.
Gli aveva persino chiesto di guardargli nella testa: i suoi pensieri e quelli di Lady Ywain erano così inteneriti da aver fatto commuovere di nuovo anche lui.
Alexander, suo padre, e James, il padre di Josephine, erano rimasti tanto colpiti dalla scelta dei nomi per il nuovo arrivato che erano scomparsi, e Mary li aveva ritrovati ore dopo nel bar vicino l'ospedale, sbronzi marci, a piangere e raccontarsi aneddoti sull'infanzia dei loro due figli ora spudoratamente preferiti.

C'erano Emma e Ben con sorrisi stanchi e regali meravigliosi, Calliope orgogliosa come una zia e un Jordan pensieroso, c'erano Routh, Amelia, Willow, Bryanna, Connor, Jimmy e Mihael perfino, John, Cole, Mark, Isaac e un viavai di gente dalla Scuola e non.
C'erano Maximilian e Arthur che si sfioravano le mani, le fedi tornate al loro posto, accompagnati da parole allegre, tutine di dubbio gusto e abbracci con pacche spaccaossa.

C'era tanta gente da non poterla contare.

Perfino Frank Burton della SCF aveva mandato un messaggio, così come Iris Carter e amici lontani: addirittura Dimitri e Quinn avevano fatto una videochiamata.

Gente, ancora gente, un vortice di volti amici intorno alla sua piccola famiglia: solo l'atto di rievocarli, rievocare le loro parole gentili, le loro emozioni e la loro incredulità gli riempie il cuore fino a farlo scoppiare, e si sente infinitamente ricco.

Si siede, sistemando la copertina anche sulle sue gambe, spostando suo figlio e tenendolo con delicatezza infinita mentre ancora gli parla con il tono morbido delle storie.

"Vedrai...sei nato in un bel mondo, tu. Forse un po' incasinato..."
E ridacchia, mentre guarda il neonato amorevole, stringendolo come se lo volesse proteggere da tutte le cose brutte di quel mondo.

"Ma non ti preoccupare. Tutto cambierà, Alex, te lo prometto. E quando verrà il momento...ci sarà tutta la YGS a darti una mano."
Gene X chiaro come il sole per quel bambino innocente, sprofondato nel sonno profondo di tutti i neonati. Esausto, Brendan sorride ancora.

"Quando tu sarai grande il mondo sarà più bello. E chissà...forse un giorno ci sarai tu a prendere il nostro posto. Tu, Johnny, Dyana, Thomas, Iris...voi sarete il futuro. Rendetelo migliore anche per noi che saremo il vostro passato."

Mani leggere gli sfiorano le spalle mentre ancora sta parlando, e lui non si gira nemmeno, piegando il collo all'indietro e appoggiandosi a Josephine, chiudendo gli occhi.
"Non volevo svegliarti."

 Sua moglie è ancora stanca, le linee del volto ammorbidite da quella maternità un po' inaspettata, ma sta sorridendo anche lei.
"Che gli stai raccontando?"

Brendan le fa spazio quando si avvicina e si siede sul divano, facendole appoggiare la testa sulla sua spalla.
"Una favola. La più bella di tutte."

Dopo di questo c'è solo il silenzio mentre guardano, tutti e tre abbracciati,  la neve che incessante cade, facendo dormire il mondo intero e una città che adesso possono chiamare davvero casa.

sabato 8 aprile 2017

Countdown

-Dieci-
Quella felicità selvaggia che gli fa decidere di buttare giorni di preparazione alle ortiche e di lanciarsi nel modo più assurdo del mondo, una proposta fatta via messaggio, con il cuore in gola e la voglia di correre subito a casa.
Un anello nella giacca, una scatolina che pesa come il mondo. Il terrore di non essere pronti, il coraggio che serve per fare un passo che è per la vita, l'immensa felicità che, per qualche istante gli fa dimenticare le preoccupazioni che gli pesano sulle spalle e i mostri nascosti dietro ogni angolo. 



-Nove-
Incontrare se stesso, faccia a faccia con il risultato di altre scelte, vedere la follia omicida nei suoi occhi e ritrovarsi completamente disarmato di fronte a quella determinazione.
Vedere attorno a sè gli sforzi di decine, centinaia di persone, riunite lì per la salvezza di entrambi i mondi,  percepire la loro scelta di sperare che gli scalda il cuore, e sapere nel profondo che stavolta ci riusciranno.
L'angosciante sensazione di perdere peso, sensazione, consistenza, fino a quando non si perde tutto in un limbo di grigiore.
Due lune che si incontrano, si scontrano, si attraversano, fino a quando tutto, idee, ricordi, sentimenti, pensieri, non torna con la voracità del fiume che si libera da una diga.
La sensazione di avere la vita intorno, davanti. Di nuovo.
La speranza di poter prendere strade stavolta giuste. L'inebriante senso di libertà che deriva dal risentirsi il futuro addosso.



-Otto-
Avviarsi in punta di piedi lungo un corridoio di ospedale, quasi non volesse disturbare chi dorme un sonno troppo profondo per essere interrotto da un semplice rumore di passi, inseguito dalla sua ombra e dal rimorso di non aver fatto di più, il peso delle scelte che sente gravare ora più che mai sopra le sue spalle, dalla rabbia che segue un video crudele.
Parlare a Maximilian, fratello, mentore, amico, e non ricevere risposta se non l'incessante rumore di macchinari, con l'idea fissa di averlo accoltellato alle spalle.



-Sette-
La rabbia sorda che lo consuma, che gli fa tenere gli occhi aperti per puro dispetto.
La sensazione di aver subìto un'ingiustizia, accompagnata da una fortissima impressione di tradimento e l'idea che, dopotutto, chiunque in quello stupido teatrino è convinto di star facendo la cosa giusta, e forse hanno anche ragione loro.
La paura per la Scuola, per Josephine, per se stesso, paure di processi e scandali, un fantasma che non si realizzerà, una minaccia senza forma e senza volto.
La fiducia anche in se stesso e nei propri mezzi che si sgretola ora dopo ora, in quell'unica lunga notte.



-Sei-
Il dolore di separarsi da volti amici.
La rabbia di addii imprevisti.
La delusione verso chi si credeva essere parte della famiglia.
La delusione per non essere riuscito a tenere tutto insieme.



-Cinque-
Stringersi le mani, la sensazione poco familiare di un nuovo anello al dito, promesse che gli riempiono il cuore di lava bollente, che lo riscaldano.
Ritrovarsi a ridere, a guardarsi in silenzio senza aver bisogno di parlare, piccoli gesti che svelano mondi interi, accennare qualche passo di danza e dimenticarsi come si fa perchè va tutto troppo dannatamente bene, in quella piccola bolla fatta soltanto di loro.
Guardare una strada e decidere che forse percorrerla in due è la scelta migliore, qualunque incidente si possa trovare per la strada. Sapere di non poter fare altrimenti, di non poterne fare a meno, ed essere contento di questo.



-Quattro-
Ritrovare la propria famiglia, imparare di nuovo che non servono i legami di sangue a creare amicizie che non si spezzano.
Imparare a camminare da soli, a correre.
 La sensazione di avere le ginocchia salde mentre stringe l'impugnatura di un coltello regalato con le migliori intenzioni.
Avere la strada da percorrere ben chiara in mente, una sottile linea luminosa in mezzo ad un mondo fatto di ombre.

 "You should reach the limits of virtue, before you cross the border of death"



-Tre-
  Leggere con il disgusto in gola, il timore di non stare facendo abbastanza.
 Persone che passano davanti ai loro banchetti, con indifferenza. La paura del diverso, bombe, attentati, folli.
Idee che cominciano a fiorire, parole dette senza intenti malvagi che colpiscono più di spade affilate, girare pagine con un sapore amaro nel retro della gola.



-Due-
Sedersi davanti ad un computer, cominciare a scrivere, le parole che arrivano da sole, pensieri ben formati dentro la sua testa che hanno solo bisogno di essere messi nero su bianco. E' tutto lì, lettere che si affiancano, tasti pigiati con tanta veemenza che ticchiettano sonori.
Alzare lo sguardo dallo schermo e rendersi conto che ormai l'alba è passata.
Sentirsi soddisfatti come raramente nella propria vita, rileggere con gli occhi che bruciano e il cuore che batte ancora con l'impressione di aver fatto qualcosa di buono.
Sentie di star facendo tutto quello non solo per tutti gli altri, ma anche per se stesso, per quello che era, un ragazzo spaventato col passo di lupo.



-Uno-
La fiducia delle persone che lo circondano, la bellezza di sentirsi esattamente al posto in cui si vuole essere, nel tempo in cui si vuole essere.
Il sollievo di aver trovato un'idea in cui credere, affidarsi ad essa completamente. Insegnarla agli altri. Vedere ragazzini insicuri trasformarsi lentamente in adulti consapevoli, persone forti su cui poter contare. Sapersi fiero di loro.



Zero.
-Crack-

 
[...]il corpo di Bobby, o meglio quello che ne resta, è fra le braccia della Flame On, la testa deformata in modo grottesco, il corpo mezzo annerito li dove Bryanna lo tratteneva, quando le fiamme si spengono. Le braccia e le gambe diventate troppo magre penzolano immobili e troppo flaccide, la bocca aperta in un grido muto di orrore.


It feels like falling.
It feels like rain.
Like losing my balance
Again and again.
It once was so easy;
Breathe in, breathe out.
But at the foot of this mountain,
I only see clouds.

I feel out of focus,
Or at least indisposed
As this strange weather pattern
Inside me takes hold.
Each brave step forward,
I take three steps behind.
It's mind over matter -
Matter over mind.

Slowly, then all at once.
A single loose thread
And it all comes undone.

Where there is light,
A shadow appears.
The cause and effect
When life interferes.
The same rule applies
To goodness and grief;
For in our great sorrow
We learn what joy means.

I don't want to fight, I don't want to fight it.
I don't want to fight, I don't want to fight it.
I don't want to fight, I don't want to fight it.
But I will learn to fight, I will learn to fight,
'Til this pendulum finds equilibrium.

Slowly, then all at once.
The dark clouds depart,
And the damage is done.
So pardon the dust
While this all settles in.
With a broken heart,
Transformation begins.

sabato 11 febbraio 2017

Metamorphosis

"Vede, il Capro Espiatorio non è solo quello che all'occorrenza paga per gli altri. È soprattutto, e anzitutto, un principio esplicativo, signor Malaussène."


                                                                                         Philadelphia, 5/02/2025

 
Brendan non si sente le mani.
Ritrovarsi nello spiazzo antistante alla City Hall, al municipio, gli dà la sensazione di tornare in un incubo, tanto che strizza gli occhi per sincerarsi sia tutto vero.
Tutto è calmo come lo può essere in un pomeriggio domenicale; non c'è nessuno, a parte Arthur seduto su una panchina, ma può sentire quasi il rumoreggiare di una folla che si trasforma in belva, si risente addosso occhiate che bruciano come fuoco, braccia che lo bloccano e mani che strappano e a nulla vale girarsi come un animale preso in gabbia.
La pelle d'oca che sente sulle braccia non è dovuta al freddo.
Gli viene un po' da odiare il telecineta che l'ha portato lì, e allo stesso tempo non può fare a meno di sentirsene grato per più ragioni di quante ne potrebbe contare.

Brendan Scott si è sempre ritenuto fisiologicamente incapace di provare un odio duraturo per persone che non fossero se stesso.
Non ha mai odiato troppo a lungo: non ha odiato i teppisti che l'hanno ridotto ad uno straccio sanguinante, un bambolotto spezzato buttato sull'asfalto, non ha odiato suo fratello e le sue occhiate colme di disprezzo, non ha odiato quando la paura del diverso lo faceva oggetto di occhiatine, derisioni, piccole e grandi ingiustizie.

Potrebbe odiare i terroristi e i loro comunicati da sciacalli mascherati, e invece non può fare nemmeno quello, sente solo un profondo disgusto.
Non riesce a provare altro che una grande, immensa pena per le persone che lo hanno sacrificato come un agnello all'altare quel pomeriggio, proprio davanti al Philadelphia City Hall, mettendo a nudo le sue cicatrici e umiliandolo con la loro sete di sangue.
Ha toccato la loro paura e la loro disperazione, e non può fare altro che perdonare tutto quello che è stato fatto; lo fa ad occhi chiusi, di pancia, senza nemmeno darsi il tempo di ragionare su.
Quella folla immensa è stata un pezzo come quelli degli scacchi che cerca disperatamente di dominare, e lui il capro espiatorio di una caccia più grande.
Forse c'è qualcuno che vivrà con un senso di colpa molto più grande del suo.

L'odio ha un sapore acre, e Brendan Scott se ne rende conto a quasi ventisette anni, con urla sanguinarie nelle orecchie e  lo scatto di pistole che gli vengono puntate dietro la schiena.

Eppure non ce la fa nemmeno quando la notte si sveglia di soprassalto, con le coperte che lo strozzano e la sensazione di essere ancora trattenuto da braccia crudeli.
Può solo trovare una profonda vergogna per se stesso: l'uomo che è scappato con il cappotto di un'altra persona sulle spalle, che si è trovato a casa, senza sapere come, con ancora addosso la sensazione di essere inseguito, una sensazione che si è allentata solo dopo giorni e giorni, donandogli di nuovo il passo ormai dimenticato del cane randagio.

Si vergogna.
Si vergogna dell'uomo che non è riuscito a rialzarsi da solo, e quella è forse una vergogna che si porterà dentro sempre.
Si vergogna dell'uomo che è scappato dalla Baraccopoli quando le sue percezioni sono arrivate prima dei sensi e la presenza di tante, troppe persone è stata abbastanza, più forte del dovere, più forte della preoccupazione, più forte dell'amore.
Si vergogna perfino di essere andato a parlare con Arthur, di avergli confidato quelle piccole verità che ora l'hanno portato di fronte alla Hall ad affrontare i propri incubi e la persona che la paura lo sta facendo diventare.

Un uomo che può odiare.
Permettersi di odiare se stessi è un lusso che però non può concedersi ora. Non può concedersi più nulla di tutto questo: può andare avanti, questo sì.

Quello che l'ha tenuto a galla fino a quel momento -di questo se ne rende conto- è solo il dovere verso gli altri.
Dovere verso Josephine, e la paura di trovarle la delusione negli occhi.
Dovere verso il suo ruolo. Verso Maximilian che gliel'ha ricordato con uno schiaffo, verso Arthur, verso Connor, verso Jimmy, verso tutta la Class e tutta la Scuola.
Dovere anche verso quelle persone che gli ruggivano contro, che continuano ad avere bisogno di lui.

Dovere verso l'altro Brendan, il dovere impellente di riparare agli errori che ha fatto, ai buchi che ha lasciato, alla rovina che ha preparato per se stesso.
Il senso di responsabilità per scelte che avrebbe potuto prendere anche lui.
Dovere verso Matthew, il figlio che non esiste eppure che continua a sentire un po' suo, una presenza-assenza che echeggia come un nome pronunciato in una stanza vuota, che fa male come una spina che non può togliere.

Quando si gira ad osservare l'ampiezza della Hall i ricordi perdono lucentezza poco a poco, e quello che resta è uno spiazzo tranquillo in una domenica di inizio Febbraio.

Posso essere migliore di questo.
Può farlo.
Lo ha detto ad Arthur, Arthur gliel'ha promesso. Può essere forte.
Può chiudere i conti una volta e per tutte con quello che è successo.
Può essere la persona che ha sempre aspirato ad essere, anche se probabilmente qualche parte di lui è rimasta intrappolata in quella folla bestiale e resterà per sempre lì, che lui lo voglia o no.

L'intervallo tra due respiri sembra un'eternità, ma quando finalmente Brendan inspira ha le spalle dritte di nuovo, leggere, e la sensazione gli piace.




giovedì 5 gennaio 2017

Hybris

Quando Brendan apre la porta di casa è ancora buio, le stanze sono tranquille al punto che non osa nemmeno accendere la luce e si muove con la furtività di un ladro, facendosi bastare le lucine dell'albero di Natale che non hanno ancora tolto.
Luke e Leila si sono precipitati a salutarlo nel modo scombinato di tutti i cuccioli, ma nemmeno loro fanno troppo rumore, e smettono ben presto i soliti salti gioiosi.
Forse si rendono conto che qualcosa non va, nei buffetti distratti che arrivano al posto delle carezze, nello sguardo che vaga, in saluti e parole allegre che non arrivano, nel modo in cui il telepate si muove, col passo rapido di un felino in gabbia.

Raggiunge in punta di piedi la stanza da letto, fermandosi solo per posare la giacca, e si affaccia appena. Josephine dorme profondamente avvolta nelle coperte, sotto gli occhi vigili dei gatti e di Q, e Brendan, suo malgrado, si ritrova a sorridere come uno scemo. Per un attimo dimentica tutto, per qualche secondo si sente quasi fortunato e nel petto gli si gonfia una bolla fatta di felicità e calore, una fragile bolla che scoppia presto, troppo presto, quando un pensiero gli accarezza la mente e lo fa gelare.

Che cosa faresti per proteggerla? Che cosa faresti, soprattutto, se lei non ci fosse? Quali sarebbero le tue scelte?

Si inoltra nella stanza solo per prendere, quatto quatto, una copertina, resistendo alla tentazione di buttarsi a letto, di abbracciare Jo, di svegliarla e di raccontare tutto quello che gli ronza per la testa in maniera disordinata, oppure di restare lì in silenzio, senza pensare, ascoltando soltanto il rumore dei loro respiri.

Invece se ne va sul divano, si accoccola lì con Luke che lo guarda dalla sua cesta con occhi azzurrissimi e un po' perplessi, prima di crollare anche lui, lasciandolo solo.

Lo sguardo vaga su una nuova scacchiera, e il ricordo di una serata semplice con Maximilian, a bere tè e a parlare di cose più o meno importanti, gli fa scappare un sorriso amaro.

“Hybris. Significa tracotanza. L'orgoglio dell'uomo che lo porta alla rovina.”

Non pensava di poter capire quelle parole così presto.
Si sorprende di come ad un certo punto tutto ciò che lo angustiava fino a poche ore prima venga messo sotto un'altra ottica. Mutiny, il quartiere, le cose che lo fanno arrabbiare, i Folli, i ragazzi scappati...tutto prende una dimensione lontana e per certi versi periferica.
E non è il pensiero di un'altra apocalisse a spaventarlo – non del tutto.
Sono passati attraverso tanti inferni, con la coscienza di avere un tempo limitato, passeranno anche oltre quello. Una soluzione c'è sempre, l'ha detto al Leonard alternativo, al loro Preside, e lo pensa sul serio.
La chiave è non arrendersi, e lui non vuole farlo. Non può permetterselo.

Ciò che davvero apre un abisso sotto i piedi è la questione delle scelte.
È davvero così facile prendere un'altra strada? Ci vuole davvero così poco per mutare il destino di una persona?

La testa gira tra i pensieri senza una vera e propria meta, ed è come mettere insieme tessere di un puzzle mal congegnato.
Da un'altra parte, in un'altra realtà, lui ha un figlio, e ha scelto di proteggerlo.
Ma dov'è Jo?
Un brivido freddo gli corre lungo la schiena nel ricordare il tono di voce di quel Carter.

Cosa l'ha spinto ad allontanarsi dalla Scuola? Quale profondo disinteresse, quale angoscia, cosa non gli ha impedito di sprofondare nella sua stessa arroganza insicura?
Si ricorda bene la diffidenza e lo sconcerto di quel Leonard Carter alternativo. Che genere di persona è quell'altro sé?

Può quasi immaginare quali possano essere state le scelte che hanno portato quell'altro Brendan a pensare di sacrificare un mondo intero, milioni e milioni di vite e di storie cancellate per proteggere una sola persona, una sola piccola esistenza che per lui vale come un tesoro. Sì, non gli ci vuole nemmeno troppo sforzo.
Dove sono le persone che lui, in questo mondo, ama? Quali sono le scelte che li hanno separati, che magari li hanno cambiati?
È un Brendan che si è arreso, quell'altro. Un Brendan che non ha voluto rischiare quello che gli rimaneva, che ha scelto una strada crudele e immediata.

La cosa più terrificante, quella più spaventosa, è che una minima parte di lui, una vocina sottile e insistente, lo capisce, comprende che è una china che avrebbe potuto prendere anche lui, che potrebbe prendere ancora.
In fondo, sono la stessa persona.

Quando Brendan si alza dal divano è ormai giorno fatto, e non sa nemmeno se ha dormito o meno, se i suoi fossero sogni o semplici pensieri.
Di una cosa è certo: stavolta può dire di conoscersi un pizzico in più. Ma non sa quanto gli possa costare quel piccolo pezzetto di comprensione.
Forse, stavolta, sa chi non vuole essere.

"Un passo davanti ai nemici, per essere pronti a combatterli, due passi davanti agli amici, per proteggerli prima ancora che sappiano di essere in pericolo."

Ma un passo davanti anche a se stesso.