lunedì 5 giugno 2017

Good things come to those who wait

Philadelphia, 15 ottobre 2040, ore 8.00

Buongiorno telespettatori, e benvenuti alle previsioni del tempo. Sembra che le temperature non abbiano intenzione di scendere. Un'estate prolungata sta...

Brendan spense la televisione con un gesto pigro, continuando ad apparecchiare accuratamente la tavola per una colazione ritardata. Quell'ottobre era cominciato nel migliore dei modi, temperature alte e gradevoli gli avevano permesso di indossare le sue amate e assurde camicie ancora per un po', come quella che aveva addosso ora: una fantasia a pinguini che stonava tanto con i suoi quarantadue anni e i capelli grigi, sulla via di diventare bianchi nonostante fosse ancora giovane.
La luce del mattino era ancora gradevole, soffusa, e riempiva la loro bella casa nel cuore della Old City di una festa dorata. Tutto era quiete a televisore spento. Quasi tutto.

"Ethan, ti ho visto! Non osare mettere le tue manacce sui pancake prima di essertele lavate!"

"Mamma! E dai!"

Il rimprovero di Josephine al loro secondo figlio quattordicenne, che si era avvicinato alla cucina con la rapidità  che la sua mutazione gli aveva donato, lo fece sorridere sotto i baffi. Brendan gli diede uno scappellotto mentre passava per recuperare il vassoio con i pancake incriminati, facendolo lamentare.

"Devi imparare ad essere più furtivo. Sei velocissimo, ma probabilmente un elefante in una cristalleria fa meno rumore. Stai continuando ad allenarti con Mark?"
Ethan aveva ereditato il broncio e il rossore facile in zona guance dalla madre.

"Ma papà! Sono migliorato! Il preside Willson ha detto che..."
La protesta di Ethan scivolò nel vuoto quando un pancake, dal vassoio che era stato appena posato sulla tavola, cominciò a galleggiare pigramente, diretto verso un punto indefinito alle loro spalle, seguito dagli occhi stanchi degli anziani animali di casa.

"Questo è migliorare, schiappa."
Alexander, il maggiore, si stava avvicinando ai sedici anni e il sorriso da faccia di bronzo era tutto suo padre. Senza saperlo assomigliava in modo quasi doloroso, occhiali a parte, a Matthew, il figlio dell'altra dimensione, la cui unica foto, lasciata dal Brendan e Josephine alternativi, si era confusa con quelle della sua infanzia.

Era così concentrato a far levitare il pancake verso di lui che non si accorse nemmeno della madre che, caraffa piena di succo di frutta in mano, si era schiarita la voce in modo così perentorio da far assumere un'identica espressione colpevole a Brendan ed Ethan, che si erano fissati a disagio.

Alexander invece non aveva smesso il ghigno da volpe.
"Che c'è? Non sto mettendo le mie manacce su niente."

E, con aria di trionfo, aprì la bocca, pronto a prendere il primo morso di pancake volante, dandogli un ultimo incauto strattone.
Sciaff.

Il suono del colpo di pancake alla faccia del giovane telecineta dissolse quella tensione sotterranea, facendo ridere tutti e stampando sulle orecchie del ragazzo un bel colore rosso acceso.


"Chi è la schiappa ora, perdente?"
Il tono cantilenante di Ethan fece ringhiare di rabbia Alexander, che, gli occhiali  ancora tutti storti, si lanciò sul fratello minore pronto a dare battaglia ,venendo schivato senza alcun problema e dando vita ad un curioso balletto nei pressi del tavolo della colazione.

*Se non la smettete in questo esatto istante stasera vi scordate di andare a dormire con i ragazzi da zio Max*
Bastò una comunicazione telepatica e perentoria di Brendan, rivolta a tutti e tre, a far cessare subito le ostilità. Lui e Jo si batterono furtivamente un cinque mentre i due ragazzi più grandi si sedevano intorno al tavolo, brontolando, seguiti dagli occhi svegli di Albert e Stephen.

"Siete infantili..."

"...e fate chiasso."

Da bravi gemelli, i due dodicenni non mancavano mai di completare le loro frasi a vicenda. L'immagine speculare l'uno dell'altro, identici al padre fino all'ultimo riccio, si erano già seduti, vestiti in modo formale e lievemente maniacale.
Nessun potere per loro, se non un'intelligenza da oscurare quasi quella della madre e la mania per l'ordine ereditata da Brendan. Stavano leggendo già a quell'ora del mattino, seri come professorini, bevendo con gesti paradossalmente sincronizzati il loro latte con cacao.

La variegata ciurma Foster Scott era quasi al completo, con Alexander ed Ethan che ora avevano preso a ridere per chissà cosa mentre i due gemelli facevano colazione in silenzio, e Brendan scrutò i suoi figli con un sorriso soddisfatto.
Mancava solo qualcuno all'appello, una persona sola in verità, e Jo si avvicinò alle scale che portavano alle stanze da letto, al piano superiore, chiamando a gran voce.

"Dorothy! La colazione! Su che dobbiamo andare a prendere i nonni in aeroporto, lo sai che non possiamo fare tardi! Non farmi salire!"
Nessuna risposta, e la donna, che Brendan ancora si sorprendeva a guardare con lo stesso amore e lo stesso incanto dei suoi ventisei anni, si voltò verso di lui, con uno sbuffo.

"Vai a vedere che sta combinando? Io finisco di prepararmi, visto che qualche Scott a caso di mattina riesce sempre a farmi perdere tempo..."
Brendan riuscì a rubare alla moglie un bacio piuttosto promettente e un risolino malizioso, prima di salire le scale rapido,  diretto verso la camera della loro unica figlia femmina, l'ultimogenita, bussando sulla porta decorata.

"Posso entrare, sei sveglia, honey? Perchè non scendi?"
Nessuna risposta da parte della piccola che, a nove anni, cominciava a crescere e protestare ogni volta che qualcuno cercava di entrare non annunciato nella sua cameretta.
La stranezza della cosa fece immediatamente preoccupare il telepate, che si affacciò nella stanza con un'espressione assai apprensiva.

Dentro era buio, si distinguevano appena le sagome dei libri di scuola, della scrivania e dei pupazzi. Brendan accese la luce guardandosi intorno perplesso, e quasi gli venne un infarto quando vide il letto vuoto e sfatto, senza coperte.
"...honey?"

"Spegni la luce!"
Il lamento della sua figlia più piccola lo riempì in eugual modo di timore e sollievo, e si avvicinò al letto, scoprendo la bambina seduta a terra tra le coperte, abbracciata all'ormai vecchio Prof che, ormai, era più peluche che gatto, e come al solito faceva sonore fusa.

"Dorothy, cosa succ..."

"La luce!"
Quella protesta dolorante coprì all'istante ventisei anni di tempo e spazio, e Brendan ebbe un lampo improvviso: se stesso sedicenne accartocciato sul pavimento, la testa nascosta sotto le coperte e sua madre che sbraitava. Senza dire niente si precipitò a spegnere la luce, facendo ripiombare la stanza nel buio e andando un po' a tentoni verso la figlia, accomodandosi poi accanto a lei, aspettando.

Brendan sospirò di sollievo quando fu lei stessa ad avvicinarsi e posargli la testa sulla spalla, abbracciandolo.
"Mi fa male la testa."

"Lo so. L'ho capito."

"Papà, che mi sta succedendo?" La voce di Dorothy era ancora quella della bambina spaventata che appena qualche anno prima scivolava nel lettone durante le notti di tempesta. "Perchè così spesso? E' normale?"

Il telepate guardò la figlia ancora più sospettoso. Tra tutti era Dorothy quella che non si lamentava mai.

"Da quanto?"

La bambina sembrò imbarazzata, e lo abbracciò ancora più forte, affondando la testa sulla sua spalla.
"Non lo so. Un pochino." Di nuovo restò in silenzio per un po', tesa come una corda di violino, e Brendan lo poteva sentire nell'abbraccio.
Il telepate aspettò che fosse lei a parlare, la più orgogliosa della ciurma, accarezzandole nel frattempo i capelli, ricci come i suoi.
Dejà-vu, ancora una volta. Lui sedicenne, spezzato da troppe botte, la madre che lo confortava quando dopo un incubo si nascondeva per la casa.

"Posso dirti un segreto, papà? Uno di quelli grossi però."

Brendan sorrise divertito, una punta di preoccupazione ben nascosta. Non troppa, però.
"Sure, honey. Go ahead, dimmi.". Aveva quasi l'impressione di sapere cosa sarebbe successo. Forse era un pochino presto rispetto agli altri, ma non era quello a mettergli ansia. Come per Alex ed Ethan, le analisi alla nascita non avevano mentito.

*Mi sa che sono come te. Posso parlare in testa alla gente. Non sei arrabbiato che non te l'ho detto subito, vero?*
Un formicolio e una comunicazione mentale che  si rifiutò di bloccare, e, nella penombra, Brendan riuscì a notare gli occhi della figlia che lo scrutavano enormi, un cervo bloccato dalle luci di un'auto, lo stesso sguardo con cui aveva affrontato il mondo per la prima volta, nove anni prima.

Tutta la preoccupazione si sciolse come neve al sole, sostituita da un'ondata di affetto immutato e un orgoglio sotterraneo.
Sua figlia.
*No, Honey. Ero preoccupato per i mal di testa. Ma ora che so perchè non lo sono più.*

Dorothy sembrava ancora dolorante, ma l'aver stabilito quel contatto telepatico aveva fatto evidentemente scemare il mal di testa fino a livelli più sopportabili, dandole un atteggiamento più vivace e la solita parlantina sciolta.
*Allora con te posso parlare così? La mamma se la prenderà che non gliel'ho detto a lei prima? Volevo dirlo ad Alex ed Ethan. Al e Steph già lo sanno, ma hanno promesso di stare zitti, o avrei detto ad Alex dove stanno le caramelle nascoste ad Halloween scorso.*

La ragazzina si imbronciò, testarda, restando però ancora abbracciata, per una volta cercando quasi cercare un rifugio che non venne rifiutato da Brendan. La lasciò invece parlare, fece scorrere quel flusso telepatico, ancora rudimentale ma potente come lui non è mai stato all'inizio. Diventerà forte come lo stanno diventando tutti i suoi figli, anche chi di gene X non ne ha.
*Io ho provato a farcela da sola, però non sapevo con chi parlare, e avevo paura. Se lo dicevo prima a zio Max poi ti saresti offeso.* E poi, all'ultimo momento, sembrò preoccupata. *Non sei offeso, vero?*

Brendan rise di cuore, scuotendo la testa e cercando di arruffare i capelli della figlia, che stavolta protestò vivacemente.
*Certo che no. Non me la prenderei mai, ma non c'è bisogno o ragione di aver paura. Ci sono io, c'è la Scuola se vuoi. Le cose sono cambiate da quando noi eravamo ragazzi, l'hai visto con i tuoi fratelli."

E le cose sono davvero cambiate un sacco da quando ha lasciato la carica di Preside per tentare un'avventura politica che per ora lo sta portando molto più lontano di quanto avesse potuto mai immaginare, sindaco e poi chissà.
Sono cambiate tante cose, e Philadelphia è diventata una fucina, il centro delle cose che cambiano davvero. La Scuola ha aperto da qualche anno anche agli umani, e la sede al South più i programmi di sensibilizzazione nelle scuole stanno creando una generazione più consapevole, tanto da essere da esempio per altre YGS e altre città, e allentare la morsa di leggi come l'SSA.
Tutti a combattere, così come fu per Magnus, per un futuro che sembra davvero comune, stavolta. Forse alcune lezioni sono state davvero imparate, a forza di ingiustizie, sangue e sudore.

*Le cose le puoi cambiare anche tu....ed Alex, Ethan, Al e Stephen...tutti voi ragazzi. Ma noi ci saremo sempre, a guardarvi le spalle. Imparerai. Andrà tutto bene.*
La ragazzina sembrò rincuorata e meno dolorante, tanto che si lasciò scappare una risatina quando Brendan riprese a parlare, stavolta a voce.

"Ora però coraggio, alziamoci e andiamo giù a dare la notizia. Scommetto che Ethan sarà invidiosissimo."

Dorothy rise, scattando in piedi, Prof ancora in braccio, ed aprì la porta. Una lama di luce dorata invase la stanza, e lei non si lamentò, battendo solo le palpebre più volte del dovuto. Esitò solo per un attimo, gli occhioni verdi ancora innocenti di nuovo pieni di preoccupazione.
"Ne vale la pena? Tutto?"

Il sorriso di Brendan si fece dolce. Quello che una volta, tanti anni prima, tanti da sembrare un'altra vita, fu un ragazzo solo, spaventato e ferito, uno studente incerto, un professore e un Preside e che è diventato un politico, un marito, un padre e soprattutto un mutante annuì, fiero, gonfiando il petto.

"Totally worth it. Ora andiamo."

E cercò di nuovo di arruffare i capelli di sua figlia, che scappò via, strappandogli una risata e delle promesse di vendetta mentre la rincorreva per le scale.
Così correndo si diressero verso il soggiorno, pronti a fare una colazione un po' più speciale delle tante altre che sono venute o seguiranno, un po' meno speciale di altre ancora, in quel ciclo così fantastico e assurdo che si chiama vita.



    I may not have gone where I intended to go, but I think I have ended up where I needed to be.   (Douglas Adams)



Nessun commento:

Posta un commento