Mike;
Spero di poterti io dare questi diari, un giorno, o di parlartene io stesso. L'ho promesso a qualcuno di importante, niente più orfani.
E' una delle tante promesse che intendo mantenere. Non voglio morire di nuovo.
Posso immaginare che tipo di uomo sarai, chiudo gli occhi e posso vederlo anche se presto non lo ricorderò, e sono già tanto, tanto fiero di te. Sappi che sei amato, lo sarai sempre anche se temo tu sia un Ross quando si parla di stare a sentire gli altri.
Non tutti sono perfetti, mh?
Ho poche parole per te in realtà. Qualche consiglio, e molti esempi. Troverai ritagli di giornale, fotografie qui dentro, tutto quello che serve per farti una tua idea.
Impara a proteggere gli altri; le tue spalle sono salde, molto più forti di quanto tu possa immaginare. Possono reggere il peso del mondo, come Atlante, ma ricorda sempre di non seguire il suo esempio.
Proteggere non significa restare soli. E' una tentazione che verrà questa, ci saranno momenti in cui ti sentirai lontano e non usciranno parole quando apri la bocca. Non lasciare che questo ti impedisca di crescere, quello non si smette mai davvero di fare.
Scegli la tua famiglia e sii leale. La lealtà è come la compassione, sono due armi potenti che devi scegliere come usare. Non essere mai cieco, figlio mio, non sei un cane. Usa quel cervello che ti ritrovi, ma non lasciare mai che prenda il sopravvento e ti inaridisca il cuore.
Non abbandonare mai la speranza, nemmeno quando tutto si fa buio, quando pensi che tutto sia perduto e che il mondo si sia fatto violento.
Il mondo è sempre stato violento.
Ci saranno sempre storie di mostri dagli occhi rossi d'ira che girano per le strade e storie di chi soccombe con le proprie idee a fior di labbra, un cuore mangiato e un proiettile nella nuca.
Ci saranno sempre momenti in cui la tua stessa rabbia esploderà, buon sangue non mente, impara a trasformarla in qualcosa di utile, perchè non sei solo al mondo, e non parlo dei tuoi affetti.
Vivi in un mondo complicato, e tieni conto di questo. Ti guarderanno con mille occhi diversi e di rado amichevoli.
La gente cercherà sempre di giustificare il proprio odio, qualcuno in modo più scintillante e patinato di altri; non ascoltarli.
Quando ti viene voglia di seguire la strada più semplice guarda avanti e ricorda: il futuro non è stato ancora scritto e hai voce in capitolo finchè potrai parlare, e anche oltre se qualcuno si ricorderà di te. Puoi scegliere cosa portare avanti. Stringi i denti, ce la puoi fare.
Sii il cambiamento.
E sii migliore di me, figlio mio, infinitamente migliore.
Ama, e sii felice. E' tutto quello che desidero per te.
Ti voglio bene;
Papà
mercoledì 27 novembre 2019
martedì 19 novembre 2019
Hope is the only thing
Panico.
Brendan si sveglia in modo violento, immerso nel buio, quando il sogno che ha fatto lo fa finire dal letto a terra, il braccio ferito che impatta dolorosamente contro la superficie fresca del pavimento.
-Porc...
Serra le labbra per non farsi sentire, chiude gli occhi e aspetta a denti stretti che la prima ondata di agonia passi, maledicendo mentalmente il Morkghan, i suoi artigli e il fatto che si sia dimenticato di non essere più a zero-g.
Gli ci vuole un attimo, ma alla fine si sporge per controllare che Andrea stia ancora dormendo: miracolosamente, per una volta, sembra essere proprio così.
Si perde un po' ad osservarla, ne osserva il profilo e i capelli scuri, gli sfugge il sorriso un po' scemo degli innamorati.
Anche gli altri sono ancora nel mondo dei sogni: i gatti dormono nelle ceste e Michael è spaparanzato nella sua culletta.
Il telepate si alza, ancora dolorante, solo per raggiungerlo e sistemare affettuoso la copertina, si china per sfiorare i ricci scuri del figlio con un bacio leggero che non gli fa fare nemmeno una smorfia.
Poi va in bagno per cercare di togliere il tutore e controllare che nessuno dei punti si sia allentato. Il fatto che sulle bende vi siano poche, sparse macchioline di sangue gli fa tirare un sospiro di sollievo, e si appoggia con la schiena contro il lavandino, tentando di rimettere tutto a posto e digrignando i denti di nuovo.
Non gli resta da fare molto, se non aspettare che il dolore passi abbastanza da permettergli di tornare a letto.
Brendan ha idee piuttosto chiare di cosa fare per passare il tempo.
Si assicura che tutti stiano ancora dormendo prima di svignarsela in cucina, in mente l'idea di aprire la finestra, sporgersi sulla piccola balconata e accendersi una sigaretta. Si rende conto pigramente di aver finito il secondo pacchetto della giornata. Forse il terzo, non lo ricorda.
Usare l'accendino con la mano sinistra è difficile, ma non impossibile.
Presto il telepate si ferma ad osservare la strada di una Philadelphia ancora sonnacchiosa, il gelo della notte che gli fa scappare un brivido, come unico conforto il fumo tiepido che gli riempie i polmoni e ogni tanto lo fa tossire, o magari i colpevoli sono proprio i polmoni malandati.
Ha scoperto di non volerlo sapere.
Un soffio di aria fredda gli investe il viso: di riflesso si tende come in attesa di qualcosa, una speranza assurda e vana che gli lascia l'amaro in bocca, non tanto diverso dal vecchio sapore di ceneri.
Per un attimo spera che le cose possano ancora cambiare, che la memoria, i sogni e la salute possano tornare intatti e che i desideri possano essere esauditi dalla più strana e generosa delle coincidenze.
Una volta è successo, quindi perchè non sperare che succeda ancora?
Con un piccolo bonus, magari, e i cattivi della storia ridotti in pietra come i troll litigiosi ai primi raggi del sole.
La speranza è dura a morire, e quella di Brendan Scott è un po' come lui.
Giù infinite volte, muore e risorge, si tende, si tira, si aggroviglia, si riempie di spine e di vuoti e di punti morti e bui fino a sembrare tutt'altra cosa rispetto al germoglio da cui era partita.
Eppure resiste, esiste, abbarbicata con la forza di un'erbaccia infestante ad un muro, incollata fino a quando il muro stesso non sarà polvere e oltre ancora.
Fino a quando non sarà come quelle parole che si ripetono talmente tante volte da sembrare accozzaglie senza alcun significato.
E ancora.
E ancora.
-Ahi!
Con un'esclamazione lascia andare la cicca che gli ha bruciato le dita, guardandola cadere verso il marciapiede lontano, fissandola ancora per lunghi istanti prima di chiudere la finestra della cucina con un altro brivido.
Il braccio ferito pulsa ancora in maniera sorda. Decide alla fine di prendere qualcosa per il dolore, almeno per riposare quel paio di ore che rimangono prima che la giornata inizi.
Dormire no.
Gli ha sempre rammentato qualcosa di troppo simile alla morte, ma stavolta sa di avere un vantaggio: sa per esperienza che la morte non si ricorda.
Brendan Scott torna a letto, mormora una scusa.
Un bacio sonnolento, un abbraccio, e si ritrova a fissare la parete.
domenica 6 ottobre 2019
Abbi il coraggio
«Ancora l'espressione brilla di quel che da animale in trappola. Si becca la spallata, anche se riesce di nuovo a difendersi con il suo scudo metallico, finendo contro il muro dell'edificio e tossendo» Coraggio. Abbi il coraggio Rage, e sii uomo, non il patetico bambino che sto vedendo, nascosto dietro una corazza più grande di lui. Abbi il coraggio di prenderti le responsabilità del tuo gesto e delle tue parole. «Lo sfida con un che di disperato, iniziando di nuovo a concentrarsi sullo stesso cassonetto.»
venerdì 23 agosto 2019
Nothing gold can stay
Di solito in ospedale il limite tra sogno e veglia riesce a farsi confuso, una linea sottile il cui unico vero discrimine è la mancanza di dolore. Questo lo sa bene.
Ora no.
Ora Brendan si è reso conto di star sognando non appena ha chiuso gli occhi, è come essere sulle rive di un lago sotterraneo e immobile, in un posto che è troppo buio per indovinare.
Abbassa lo sguardo quando si rende conto di non essere solo, quando percepisce una presenza minuta al suo fianco.
"Oh...hello?"
E' un bambino, non deve avere più di cinque anni. Capelli neri e corti che si indovinano ricci, occhiali da vista dalla montatura di plastica colorata e dietro grandi occhi azzurri, occhi che anche nel sogno per un attimo gli rendono difficile respirare, come se un coltello gli si fosse conficcato nel fianco.
Occhi che ha visto in una fotografia ormai persa, occhi che ha sognato. Più e più e più volte, quando i bei sogni erano ancora peggio degli incubi più neri.
"Where are we going?"
Non si ribella quando il figlio che non ha mai davvero conosciuto lo prende per mano, sorridendo sbruffone, portandolo verso il centro del lago: camminano sopra un'acqua scura, lucida e riflettente come un pavimento di ossidiana, senza fare alcun rumore o muovere un'onda.
Brendan si gira di scatto quando, arrivati al centro, il bambino gli lascia la mano all'improvviso.
"...Dove vai, io..."
Ma Matthew, Alexander o forse entrambi già non c'è più, scomparso nel nulla da cui è venuto. Il telepate si guarda intorno, ma intorno a lui non c'è più anima viva, e non resta altro che sedersi sull'acqua che sembra un pavimento, a gambe incrociate.
Aspetta.
"Ci hai messo anche troppo."
Quando abbassa lo sguardo per cercare il suo riflesso l'immagine che gli restituisce lo sguardo è diversa.
Il sé dell'altra dimensione è quasi come se lo ricorda. Snello ma non troppo magro, sano, senza occhiaie e con solo qualche filo grigio tra i ricci, senza pizzetto, meno cicatrici e addosso vestiti colorati che un tempo anche lui amava portare. È giovane come lui non lo sarà mai più.
E' diversa anche l'espressione: il sorriso è beffardo e negli occhi si è infiltrata una durezza di chi il metallo se lo è fatto scendere fin nell'anima, liquido e velenoso come il mercurio.
E' una durezza che riconosce.
"Non ti è bastato quello che hai fatto?"
Il Brendan dell'altra dimensione, quello che ha fatto di tutto per proteggere il suo mondo a discapito del loro durante il periodo della collisione, quello che non avrebbe esitato un secondo ad ucciderlo per questo, ride di una risata molto aspra.
"Quello che io ho fatto a chi esattamente? Non basta quello che tu hai fatto a te stesso, piuttosto?"
Il doppio lo indica, continuando a sogghignare. "Guardati. Sei patetico, Brendan Scott. Sei patetico e lo sai."
Brendan ringhia, un ringhio che arriva dal profondo del petto e anche nel sogno gli fa vibrare dolorosamente le costole spezzate, ma si trova incredibilmente a corto di parole.
"Che cosa vuoi da me?"
"Just checking out. Ogni tanto non posso controllare come vanno le cose?" La voce dell'altro Brendan è allegra, quel sorriso non ha mai nemmeno tremato.
"Non devi odiarmi, sai." Finalmente l'altro si fa più serio. "Ho fatto quello che dovevo. Quello che pensavo potesse essere giusto."
La sua voce, quella che gli esce dalle labbra, vibra invece di rabbia. "Pensavi potesse essere giusto ammazzare miliardi di persone? Sei stato tu che hai perso."
Il doppio inarca le sopracciglia, scettico e sarcastico. "Ma davvero?" Di nuovo ride.
"Sai bene che a me non piace prendere rischi e non amo le mezze misure. E la speranza che ti ha portato fin qui é questo. Un rischio."
Il sorriso del doppio mostra tutti i denti, è un sorriso accattivante.
"La verità, Brendan Scott, è che non hai le palle. Se pensi che qualcosa cambierà con quella tua stupida scuola del cazzo...ti sbagli. Di nuovo, lo sai anche meglio di me che siete lontani solo un giorno sbagliato dal tornare i cattivi. La gente ascolta l'odio di chi vi ha pestato, ascolta la paura che seminano col sangue. E che cosa fate voi? Lezioni e al massimo qualche dibattito in tv. Ti rendi conto? Guardati. Sembri una candela consumata. Quanto ancora pensi di poter andare avanti?"
Brendan chiude le mani a pugno, ed trova quasi strano come nei sogni si senta il dolore della realtà.
"È qui che ti sbagli. Perché finché resterà qualcosa per cui combattere lo farò, e non come pensi. È il futuro che stiamo costruendo. Ed è normale che ci sia la paura, ma si combatte con l'esempio".
"Ah sì? Il futuro?"
L'altro Brendan agita noncurante una mano, e compaiono altri due riflessi che si tengono per mano. Il bambino con gli occhiali, e un altro della stessa età che un poco gli somiglia. Gli occhi stavolta verdi hanno la stessa forma, è più alto e robusto dell'altro, senza occhiali, i ricci neri e la pelle del colore di Andrea, ma il sorriso sicuro in entrambi è identico.
"Lascia i miei figli fuori da questa storia!" Brendan furioso molla il pugno alla superficie fredda, che si increspa come acqua senza che tocchi l'altro.
Lui ride.
"Michael sarà proprio un bravo bambino, sai." Nonostante il sorriso del doppio si sia addolcito c'è un sottofondo perfido che si sta facendo sempre più spazio.
"...Se non muore come il tuo Alexander senza che tu riesca a fare qualcosa in merito, ridicolo ometto che non sei altro. Come pensi di potergli essere da esempio? Quanto pensi che ci vorrà prima che crolli tutto di nuovo? Because nothing gold can stay, so che sai anche questo."
Brendan non sa se le lacrime che gli pungono gli occhi siano reali o meno. La voce che gli esce è malferma come non è quasi mai stata di fronte alle tragedie.
"Stop it. Just...stop. Cosa dovrei fare secondo te, mh?"
"Mi sorprendi. Sai meglio di me cosa fare. Con il Kingdom, con quei terroristi...la risposta è lì ad un passo."
Da accattivante il sorriso dell'altro diventa sinistro, quasi innaturale nella sua soddisfazione .
"Mi hai sentito, Brendan. La speranza é un rischio. Finché ti ci aggrapperai sarai a galla su una barca che affonda. E loro vinceranno. Vinceranno sempre perché non hai saputo essere come meriti. Essere come me." Il sorriso è diventato una smorfia affilata e crudele.
"Un vincente."
"VATTENE VIA!" Stavolta non si limita a ruggire: si lancia contro quel riflesso con tutto il suo corpo e con tutta la sua rabbia.
Invece di toccare una superficie dura il suo corpo si infrange contro un'acqua densa come catrame, di un gelo che gli fa dolere le ossa.
Il suo doppio ride mentre affonda, ride e ride ancora quando tutto intorno si fa buio, sente ancora la sua risata nelle orecchie quando si risveglia in ospedale con una violenza che spaventa l'infermiera lì per cambiare una flebo.
Forse sono le ferite, ma ancora si sente i polmoni pieni di acqua.
Ora no.
Ora Brendan si è reso conto di star sognando non appena ha chiuso gli occhi, è come essere sulle rive di un lago sotterraneo e immobile, in un posto che è troppo buio per indovinare.
Abbassa lo sguardo quando si rende conto di non essere solo, quando percepisce una presenza minuta al suo fianco.
"Oh...hello?"
E' un bambino, non deve avere più di cinque anni. Capelli neri e corti che si indovinano ricci, occhiali da vista dalla montatura di plastica colorata e dietro grandi occhi azzurri, occhi che anche nel sogno per un attimo gli rendono difficile respirare, come se un coltello gli si fosse conficcato nel fianco.
Occhi che ha visto in una fotografia ormai persa, occhi che ha sognato. Più e più e più volte, quando i bei sogni erano ancora peggio degli incubi più neri.
"Where are we going?"
Non si ribella quando il figlio che non ha mai davvero conosciuto lo prende per mano, sorridendo sbruffone, portandolo verso il centro del lago: camminano sopra un'acqua scura, lucida e riflettente come un pavimento di ossidiana, senza fare alcun rumore o muovere un'onda.
Brendan si gira di scatto quando, arrivati al centro, il bambino gli lascia la mano all'improvviso.
"...Dove vai, io..."
Ma Matthew, Alexander o forse entrambi già non c'è più, scomparso nel nulla da cui è venuto. Il telepate si guarda intorno, ma intorno a lui non c'è più anima viva, e non resta altro che sedersi sull'acqua che sembra un pavimento, a gambe incrociate.
Aspetta.
"Ci hai messo anche troppo."
Quando abbassa lo sguardo per cercare il suo riflesso l'immagine che gli restituisce lo sguardo è diversa.
Il sé dell'altra dimensione è quasi come se lo ricorda. Snello ma non troppo magro, sano, senza occhiaie e con solo qualche filo grigio tra i ricci, senza pizzetto, meno cicatrici e addosso vestiti colorati che un tempo anche lui amava portare. È giovane come lui non lo sarà mai più.
E' diversa anche l'espressione: il sorriso è beffardo e negli occhi si è infiltrata una durezza di chi il metallo se lo è fatto scendere fin nell'anima, liquido e velenoso come il mercurio.
E' una durezza che riconosce.
"Non ti è bastato quello che hai fatto?"
Il Brendan dell'altra dimensione, quello che ha fatto di tutto per proteggere il suo mondo a discapito del loro durante il periodo della collisione, quello che non avrebbe esitato un secondo ad ucciderlo per questo, ride di una risata molto aspra.
"Quello che io ho fatto a chi esattamente? Non basta quello che tu hai fatto a te stesso, piuttosto?"
Il doppio lo indica, continuando a sogghignare. "Guardati. Sei patetico, Brendan Scott. Sei patetico e lo sai."
Brendan ringhia, un ringhio che arriva dal profondo del petto e anche nel sogno gli fa vibrare dolorosamente le costole spezzate, ma si trova incredibilmente a corto di parole.
"Che cosa vuoi da me?"
"Just checking out. Ogni tanto non posso controllare come vanno le cose?" La voce dell'altro Brendan è allegra, quel sorriso non ha mai nemmeno tremato.
"Non devi odiarmi, sai." Finalmente l'altro si fa più serio. "Ho fatto quello che dovevo. Quello che pensavo potesse essere giusto."
La sua voce, quella che gli esce dalle labbra, vibra invece di rabbia. "Pensavi potesse essere giusto ammazzare miliardi di persone? Sei stato tu che hai perso."
Il doppio inarca le sopracciglia, scettico e sarcastico. "Ma davvero?" Di nuovo ride.
"Sai bene che a me non piace prendere rischi e non amo le mezze misure. E la speranza che ti ha portato fin qui é questo. Un rischio."
Il sorriso del doppio mostra tutti i denti, è un sorriso accattivante.
"La verità, Brendan Scott, è che non hai le palle. Se pensi che qualcosa cambierà con quella tua stupida scuola del cazzo...ti sbagli. Di nuovo, lo sai anche meglio di me che siete lontani solo un giorno sbagliato dal tornare i cattivi. La gente ascolta l'odio di chi vi ha pestato, ascolta la paura che seminano col sangue. E che cosa fate voi? Lezioni e al massimo qualche dibattito in tv. Ti rendi conto? Guardati. Sembri una candela consumata. Quanto ancora pensi di poter andare avanti?"
Brendan chiude le mani a pugno, ed trova quasi strano come nei sogni si senta il dolore della realtà.
"È qui che ti sbagli. Perché finché resterà qualcosa per cui combattere lo farò, e non come pensi. È il futuro che stiamo costruendo. Ed è normale che ci sia la paura, ma si combatte con l'esempio".
"Ah sì? Il futuro?"
L'altro Brendan agita noncurante una mano, e compaiono altri due riflessi che si tengono per mano. Il bambino con gli occhiali, e un altro della stessa età che un poco gli somiglia. Gli occhi stavolta verdi hanno la stessa forma, è più alto e robusto dell'altro, senza occhiali, i ricci neri e la pelle del colore di Andrea, ma il sorriso sicuro in entrambi è identico.
"Lascia i miei figli fuori da questa storia!" Brendan furioso molla il pugno alla superficie fredda, che si increspa come acqua senza che tocchi l'altro.
Lui ride.
"Michael sarà proprio un bravo bambino, sai." Nonostante il sorriso del doppio si sia addolcito c'è un sottofondo perfido che si sta facendo sempre più spazio.
"...Se non muore come il tuo Alexander senza che tu riesca a fare qualcosa in merito, ridicolo ometto che non sei altro. Come pensi di potergli essere da esempio? Quanto pensi che ci vorrà prima che crolli tutto di nuovo? Because nothing gold can stay, so che sai anche questo."
Brendan non sa se le lacrime che gli pungono gli occhi siano reali o meno. La voce che gli esce è malferma come non è quasi mai stata di fronte alle tragedie.
"Stop it. Just...stop. Cosa dovrei fare secondo te, mh?"
"Mi sorprendi. Sai meglio di me cosa fare. Con il Kingdom, con quei terroristi...la risposta è lì ad un passo."
Da accattivante il sorriso dell'altro diventa sinistro, quasi innaturale nella sua soddisfazione .
"Mi hai sentito, Brendan. La speranza é un rischio. Finché ti ci aggrapperai sarai a galla su una barca che affonda. E loro vinceranno. Vinceranno sempre perché non hai saputo essere come meriti. Essere come me." Il sorriso è diventato una smorfia affilata e crudele.
"Un vincente."
"VATTENE VIA!" Stavolta non si limita a ruggire: si lancia contro quel riflesso con tutto il suo corpo e con tutta la sua rabbia.
Invece di toccare una superficie dura il suo corpo si infrange contro un'acqua densa come catrame, di un gelo che gli fa dolere le ossa.
Il suo doppio ride mentre affonda, ride e ride ancora quando tutto intorno si fa buio, sente ancora la sua risata nelle orecchie quando si risveglia in ospedale con una violenza che spaventa l'infermiera lì per cambiare una flebo.
Forse sono le ferite, ma ancora si sente i polmoni pieni di acqua.
martedì 26 febbraio 2019
Burn
Con il tempo, Brendan Scott ha dimenticato cosa sia la paura per se stesso, e a volte dubita di averne mai avuta davvero.
Non ha paura per sè quando va in ronda e un rumore qualsiasi gli fa voltare la testa e raggiungere il coltello. A volte non sa se è più ansia o voglia di dare in qualche modo un colpevole alla rabbia che gli brucia lo stomaco, brucia da quando sono tornati nel passato.
Non ha paura nemmeno quando il raggio mortale di un'astronave aliena fa tremare il Wing, protetto disperatamente dai loro scudi. Non ha paura quando sprona gli altri a combattere, non ha paura quando combatte e non l'ha mai avuta, nonostante tutti i segni, le cicatrici, i giorni di degenza, le ferite, la salute che traballa e lo tradisce sempre più spesso.
Non è il caso di avere paura quando si ritrova in quella stiva stretta con altri disgraziati, anzi. Il sangue gli scorre nelle vene più caldo che mai quando la falsa parete di metallo salta, e lui si trova a sciamare verso una plancia di pilotaggio che dirotta con un miracolo e parecchie bestemmie.
No, la paura non è mai per sè: quella è una sensazione esilarante, per un attimo gli fa ricordare che è stato un ragazzo in cerca di guai. Si sente di nuovo giovane e vivo, anche se per un istante solo.
Paura però non gli è un'emozione sconosciuta.
Teme ogni volta per Andrea quando la vede uscire dal loro rifugio arrangiato, teme quando vede i suoi occhi stanchi, vede le sue occhiaie e sa che per lui è la stessa cosa.
Ha paura per la piccola vita innocente di Michael, ha paura per suo figlio ogni volta che si addormenta e sembra sul punto di svanire da un momento all'altro come se non fosse mai esistito, congelandogli il cuore in petto, ogni pianto un po' di più.
Ha paura per i suoi genitori condannati allo stesso destino, teme perfino per Iris e per il bambino che porta in grembo. Teme per Max, per Matthew, per Cole, per tutta la gente nella sua costellazione di affetti.
Ha paura per suo fratello Hector e per un Constantine con cui si sono riuniti dopo tanti dubbi.
Non vuole vederselo strappare dalle mani come quando è corso via per salvargli la vita. Una volta è stata sufficiente.
Teme per tutto ciò che lo tiene ancorato al suolo.
E ogni nome, ogni momento, ogni cosa che succede, ogni momento di paura è una fiamma che si accende in quell'incendio che non può e non vuole domare.
Di quelle fiamme è fatto, di quel fuoco si nutre e combatte, combatte ancora, fino a rarefarsi.
Non ha paura per sè quando va in ronda e un rumore qualsiasi gli fa voltare la testa e raggiungere il coltello. A volte non sa se è più ansia o voglia di dare in qualche modo un colpevole alla rabbia che gli brucia lo stomaco, brucia da quando sono tornati nel passato.
Non ha paura nemmeno quando il raggio mortale di un'astronave aliena fa tremare il Wing, protetto disperatamente dai loro scudi. Non ha paura quando sprona gli altri a combattere, non ha paura quando combatte e non l'ha mai avuta, nonostante tutti i segni, le cicatrici, i giorni di degenza, le ferite, la salute che traballa e lo tradisce sempre più spesso.
Non è il caso di avere paura quando si ritrova in quella stiva stretta con altri disgraziati, anzi. Il sangue gli scorre nelle vene più caldo che mai quando la falsa parete di metallo salta, e lui si trova a sciamare verso una plancia di pilotaggio che dirotta con un miracolo e parecchie bestemmie.
No, la paura non è mai per sè: quella è una sensazione esilarante, per un attimo gli fa ricordare che è stato un ragazzo in cerca di guai. Si sente di nuovo giovane e vivo, anche se per un istante solo.
Paura però non gli è un'emozione sconosciuta.
Teme ogni volta per Andrea quando la vede uscire dal loro rifugio arrangiato, teme quando vede i suoi occhi stanchi, vede le sue occhiaie e sa che per lui è la stessa cosa.
Ha paura per la piccola vita innocente di Michael, ha paura per suo figlio ogni volta che si addormenta e sembra sul punto di svanire da un momento all'altro come se non fosse mai esistito, congelandogli il cuore in petto, ogni pianto un po' di più.
Ha paura per i suoi genitori condannati allo stesso destino, teme perfino per Iris e per il bambino che porta in grembo. Teme per Max, per Matthew, per Cole, per tutta la gente nella sua costellazione di affetti.
Ha paura per suo fratello Hector e per un Constantine con cui si sono riuniti dopo tanti dubbi.
Non vuole vederselo strappare dalle mani come quando è corso via per salvargli la vita. Una volta è stata sufficiente.
Teme per tutto ciò che lo tiene ancorato al suolo.
E ogni nome, ogni momento, ogni cosa che succede, ogni momento di paura è una fiamma che si accende in quell'incendio che non può e non vuole domare.
Di quelle fiamme è fatto, di quel fuoco si nutre e combatte, combatte ancora, fino a rarefarsi.
sabato 5 gennaio 2019
Wolves
Il rumore di una sveglia che gli suona dritta nell'orecchio lo strappa da un sogno che per una volta sembra uno di quelli assurdi ma innocui di un tempo. La prima cosa che fa è cercarla per spegnerla, pronto a girarsi dall'altro lato e abbracciare Andrea per concedersi altri famigerati cinque minuti.
Le sue mani incontrano la testa riccia di un uomo da barba e capelli rossi che ride sotto i baffi quando si sveglia di soprassalto.
"Oh cretino, ti sei addormentato."
Hector gli ha messo il cellulare vicino alla testa e sta sparando metal di quello becero nelle orecchie, e loro sono sul divano, pomeriggio di inizio gennaio. A Philadelphia, South Side, l'appartamento temporaneo che Mary e Alexander sono riusciti a rimediare.
"Non posso nemmeno andare a lavare i piatti che crolli? Ti sei proprio fatto una femminuccia."
La gomitata che segue, dritta nelle costole, fa ridacchiare il ragazzo, che si siede vicino a Brendan, stravaccandosi sul vecchio divano mentre il telepate si stiracchia e torna nel mondo dei vivi, guardandosi intorno.
"Mamma e papà?"
"Boh, in giro immagino, a comprare roba. Abbiamo lasciato un po' di cose ad Ottawa e niente fermerà mamma dall'avere un set di tazze per gli ospiti e riempirti di tutine non appena ha occasione come ogni nonna fuori di testa che si rispetti."
Hector ridacchia ancora, e tra i due fratelli Scott scende un silenzio quieto.
E' cambiato, non solo per il barbone. Nonostante questo riesce a portarsi dietro quell'aria di completa innocenza anche se sembra un paio di anni più vecchio dei suoi ventiquattro.
"Per quanto pensi di restare tu? Ho capito che mamma e papà hanno messo un po' le radici da quando hanno saputo di Michael, ma...tu sei libero. Perchè..."
Alle parole di Brendan semplicemente alza una mano e lo interrompe.
"Ottawa è stata una cazzata e papà ha ragione. Abbiamo diviso la famiglia troppe volte, e se devo iniziare da qualche parte è meglio se lo faccio dove ti posso tenere d'occhio. Costantine non c'è più e qualcuno deve pur aiutare la tua compagna a non far diventare vostro figlio un pagliaccio vestito male."
La risposta è un silenzio che pare di nuovo lunghissimo.
"Non nominavi più Stan da quando...da un sacco."
"Già."
"Avrebbe trentacinque anni."
"Direbbe che ora il più vecchio sei tu, e si vede."
Un'altra breve risata dei due fratelli, e un altro silenzio. Stavolta è Hector a romperlo per primo.
"Sai...avevate ragione."
Brendan non fa in tempo ad aprire la bocca che il ragazzo continua, con un sorriso malinconico.
"Siamo arrivati ad un punto in cui...fare finta di niente è come essere d'accordo."
Il ragazzo guarda il telepate con un che di estremamente severo e quasi estraneo sul viso normalmente bonario, e taglia ogni discussione.
"Non pensare che non sia preoccupato per te..lo siamo tutti. Siamo preoccupati per te, per Andrea, per il bambino e per la vita che avete davanti. Ma...io mi fido e la preoccupazione non risolverà mai un cazzo, le cose stanno così ed è meglio darsi da fare. So che stai facendo tutto il possibile, so che se ci fosse un modo per migliorare le cose saresti già lì a ingegnarti. Sei sempre stato così."
"Hector, è già questo il modo. Forse è la strada più difficile, ma..."
"Piantala. Ce lo stai dicendo da così tanto tempo che ormai potrei ripetere a memoria tutto."
Il sorriso diventa amaro.
"Non fare casini, Brendan. Andrea è una brava ragazza, e anche se non ce l'ha fatto vedere sono più che sicuro sia una testa di cazzo come te. Deve esserlo, per decidere di vivere insieme a un ricercato nel bel mezzo del nulla e farci perfino un figlio. Deve esserlo perchè te ne sei innamorato, non ti innamori della gente normale."
Ed Hector, quell'uomo dalla faccia di eterno bambino, semplicemente sospira, con un silenzio che è lungo, lunghissimo.
"Ti ho sempre visto...come il fratello maggiore...quello che poteva fare tutto, a cui tutto era permesso. E non perchè sei un mutante, o non solo...è perchè sei tu. Col carattere di merda che ti ritrovi."
Il giovane fissa il telepate con uno sguardo acuto che tanto ricorda la loro madre. Ha i suoi occhi azzurri ed è un colore buono, calmo e caldo come le acque del mare tropicale.
"Tu sei quello che prendeva a sassate le finestre delle officine e si ritrovava con un lavoretto. Il ragazzo che poteva scappare di casa a sedici anni e tornare, e gli altri si sarebbero solo preoccupati. Quello che poteva andare a vivere in un altra città e non farsi sentire per mesi e mesi, quello che torna ogni volta con una cicatrice diversa e quello che ho visto quasi morto per più volte di quanto mi piaccia ammettere. Sei quello che può scomparire e riapparire e tutti penseranno che è normale, è solo Brendan. Sei l'ultima persona che ha visto e parlato con Stan, sei la persona che l'ha cambiato...e io tra di voi spesso e volentieri ero solo un satellite. Contantine e Brendan, con i loro drammi, e poi il piccolo Hector, sempre affidabile, quello che porta tutti quanti insieme e che non ha mai nessun problema con le pazzie degli altri."
Non lascia nemmeno il tempo di replicare, parla in un lungo monologo allibito, guardandolo con una sicurezza che il telepate si scopre di non aver mai avuto.
"Mi rendo conto che avrei potuto essere invidioso di te. Avrei potuto odiarti, ma...immagino che nessuno in questa famiglia sia per le cose facili."
Brendan fa per aprire bocca, ma il fratello minore semplicemente lo guarda ancora, e stavolta è torvo.
"Non dire niente. E non abbassare mai la guardia, perchè basta questo..." Hector schiocca le dita. "Ma già lo sai. E io non voglio raccogliere i pezzi di mamma e papà, non un'altra volta. E non voglio raccogliere i tuoi, perchè nonostante tutto ti voglio bene. E so che me ne vuoi anche tu."
Ci vuole un po' prima che il telepate riesca a raccogliere i pensieri e aprire la bocca.
"Mi...dispiace. Avrei dovuto..."
Hector scoppia a ridere, e scuote la testa.
"Una delle tante cose che avresti dovuto, e che non fai mai. Ma non te ne faccio una colpa." Ancora ridacchia, scuotendo ancora la testa. "Tutto questo alla fine sai cosa? Per dirti che ho trovato lavoro qui a Philly e non mi muoverò da qui. Quindi in bocca al lupo, hai una nuova piattola in città."
Stavolta ridono entrambi, e il pensiero di Brendan corre lontano.
Corre all'anno prima e al suo Natale silenzioso, il capodanno aspro, mesi divisi con la testa piena di numeri pari, ore passate in loop con le mani sotto al lavandino a lasciarsi intorpidire le dita dal gelo e ovattare la testa dai ricordi.
Il pensiero corre e ricorda, ricorda storie, e forse è tutto vero: il lupo che vince è quello che nutri.
"Hector?"
"..."
"Buon anno"
"Buon anno anche a te, cretino."
Le sue mani incontrano la testa riccia di un uomo da barba e capelli rossi che ride sotto i baffi quando si sveglia di soprassalto.
"Oh cretino, ti sei addormentato."
Hector gli ha messo il cellulare vicino alla testa e sta sparando metal di quello becero nelle orecchie, e loro sono sul divano, pomeriggio di inizio gennaio. A Philadelphia, South Side, l'appartamento temporaneo che Mary e Alexander sono riusciti a rimediare.
"Non posso nemmeno andare a lavare i piatti che crolli? Ti sei proprio fatto una femminuccia."
La gomitata che segue, dritta nelle costole, fa ridacchiare il ragazzo, che si siede vicino a Brendan, stravaccandosi sul vecchio divano mentre il telepate si stiracchia e torna nel mondo dei vivi, guardandosi intorno.
"Mamma e papà?"
"Boh, in giro immagino, a comprare roba. Abbiamo lasciato un po' di cose ad Ottawa e niente fermerà mamma dall'avere un set di tazze per gli ospiti e riempirti di tutine non appena ha occasione come ogni nonna fuori di testa che si rispetti."
Hector ridacchia ancora, e tra i due fratelli Scott scende un silenzio quieto.
E' cambiato, non solo per il barbone. Nonostante questo riesce a portarsi dietro quell'aria di completa innocenza anche se sembra un paio di anni più vecchio dei suoi ventiquattro.
"Per quanto pensi di restare tu? Ho capito che mamma e papà hanno messo un po' le radici da quando hanno saputo di Michael, ma...tu sei libero. Perchè..."
Alle parole di Brendan semplicemente alza una mano e lo interrompe.
"Ottawa è stata una cazzata e papà ha ragione. Abbiamo diviso la famiglia troppe volte, e se devo iniziare da qualche parte è meglio se lo faccio dove ti posso tenere d'occhio. Costantine non c'è più e qualcuno deve pur aiutare la tua compagna a non far diventare vostro figlio un pagliaccio vestito male."
La risposta è un silenzio che pare di nuovo lunghissimo.
"Non nominavi più Stan da quando...da un sacco."
"Già."
"Avrebbe trentacinque anni."
"Direbbe che ora il più vecchio sei tu, e si vede."
Un'altra breve risata dei due fratelli, e un altro silenzio. Stavolta è Hector a romperlo per primo.
"Sai...avevate ragione."
Brendan non fa in tempo ad aprire la bocca che il ragazzo continua, con un sorriso malinconico.
"Siamo arrivati ad un punto in cui...fare finta di niente è come essere d'accordo."
Il ragazzo guarda il telepate con un che di estremamente severo e quasi estraneo sul viso normalmente bonario, e taglia ogni discussione.
"Non pensare che non sia preoccupato per te..lo siamo tutti. Siamo preoccupati per te, per Andrea, per il bambino e per la vita che avete davanti. Ma...io mi fido e la preoccupazione non risolverà mai un cazzo, le cose stanno così ed è meglio darsi da fare. So che stai facendo tutto il possibile, so che se ci fosse un modo per migliorare le cose saresti già lì a ingegnarti. Sei sempre stato così."
"Hector, è già questo il modo. Forse è la strada più difficile, ma..."
"Piantala. Ce lo stai dicendo da così tanto tempo che ormai potrei ripetere a memoria tutto."
Il sorriso diventa amaro.
"Non fare casini, Brendan. Andrea è una brava ragazza, e anche se non ce l'ha fatto vedere sono più che sicuro sia una testa di cazzo come te. Deve esserlo, per decidere di vivere insieme a un ricercato nel bel mezzo del nulla e farci perfino un figlio. Deve esserlo perchè te ne sei innamorato, non ti innamori della gente normale."
Ed Hector, quell'uomo dalla faccia di eterno bambino, semplicemente sospira, con un silenzio che è lungo, lunghissimo.
"Ti ho sempre visto...come il fratello maggiore...quello che poteva fare tutto, a cui tutto era permesso. E non perchè sei un mutante, o non solo...è perchè sei tu. Col carattere di merda che ti ritrovi."
Il giovane fissa il telepate con uno sguardo acuto che tanto ricorda la loro madre. Ha i suoi occhi azzurri ed è un colore buono, calmo e caldo come le acque del mare tropicale.
"Tu sei quello che prendeva a sassate le finestre delle officine e si ritrovava con un lavoretto. Il ragazzo che poteva scappare di casa a sedici anni e tornare, e gli altri si sarebbero solo preoccupati. Quello che poteva andare a vivere in un altra città e non farsi sentire per mesi e mesi, quello che torna ogni volta con una cicatrice diversa e quello che ho visto quasi morto per più volte di quanto mi piaccia ammettere. Sei quello che può scomparire e riapparire e tutti penseranno che è normale, è solo Brendan. Sei l'ultima persona che ha visto e parlato con Stan, sei la persona che l'ha cambiato...e io tra di voi spesso e volentieri ero solo un satellite. Contantine e Brendan, con i loro drammi, e poi il piccolo Hector, sempre affidabile, quello che porta tutti quanti insieme e che non ha mai nessun problema con le pazzie degli altri."
Non lascia nemmeno il tempo di replicare, parla in un lungo monologo allibito, guardandolo con una sicurezza che il telepate si scopre di non aver mai avuto.
"Mi rendo conto che avrei potuto essere invidioso di te. Avrei potuto odiarti, ma...immagino che nessuno in questa famiglia sia per le cose facili."
Brendan fa per aprire bocca, ma il fratello minore semplicemente lo guarda ancora, e stavolta è torvo.
"Non dire niente. E non abbassare mai la guardia, perchè basta questo..." Hector schiocca le dita. "Ma già lo sai. E io non voglio raccogliere i pezzi di mamma e papà, non un'altra volta. E non voglio raccogliere i tuoi, perchè nonostante tutto ti voglio bene. E so che me ne vuoi anche tu."
Ci vuole un po' prima che il telepate riesca a raccogliere i pensieri e aprire la bocca.
"Mi...dispiace. Avrei dovuto..."
Hector scoppia a ridere, e scuote la testa.
"Una delle tante cose che avresti dovuto, e che non fai mai. Ma non te ne faccio una colpa." Ancora ridacchia, scuotendo ancora la testa. "Tutto questo alla fine sai cosa? Per dirti che ho trovato lavoro qui a Philly e non mi muoverò da qui. Quindi in bocca al lupo, hai una nuova piattola in città."
Stavolta ridono entrambi, e il pensiero di Brendan corre lontano.
Corre all'anno prima e al suo Natale silenzioso, il capodanno aspro, mesi divisi con la testa piena di numeri pari, ore passate in loop con le mani sotto al lavandino a lasciarsi intorpidire le dita dal gelo e ovattare la testa dai ricordi.
Il pensiero corre e ricorda, ricorda storie, e forse è tutto vero: il lupo che vince è quello che nutri.
"Hector?"
"..."
"Buon anno"
"Buon anno anche a te, cretino."
Iscriviti a:
Post (Atom)