venerdì 23 agosto 2019

Nothing gold can stay

Di solito in ospedale il limite tra sogno e veglia riesce a farsi confuso, una linea sottile il cui unico vero discrimine è la mancanza di dolore. Questo lo sa bene.

Ora no.

Ora Brendan si è reso conto di star sognando non appena ha chiuso gli occhi, è come essere sulle rive di un lago sotterraneo e immobile, in un posto che è troppo buio per indovinare.
Abbassa lo sguardo quando si rende conto di non essere solo, quando percepisce una presenza minuta al suo fianco.
"Oh...hello?"

E' un bambino, non deve avere più di cinque anni. Capelli neri e corti che si indovinano ricci, occhiali  da vista dalla montatura di plastica colorata e dietro grandi occhi azzurri, occhi che anche nel sogno per un attimo gli rendono difficile respirare, come se un coltello gli si fosse conficcato nel fianco.
Occhi che ha visto in una fotografia ormai persa, occhi che ha sognato. Più e più e più volte, quando i bei sogni erano ancora peggio degli incubi più neri.

"Where are we going?"
Non si ribella quando il figlio che non ha mai davvero conosciuto lo prende per mano, sorridendo sbruffone, portandolo verso il centro del lago: camminano sopra un'acqua scura, lucida e riflettente come un pavimento di ossidiana, senza fare alcun rumore o muovere un'onda.
Brendan si gira di scatto quando, arrivati al centro, il bambino gli lascia la mano all'improvviso.

"...Dove vai, io..."
Ma Matthew, Alexander o forse entrambi già non c'è più, scomparso nel nulla da cui è venuto. Il telepate si guarda intorno, ma intorno a lui non c'è più anima viva, e non resta altro che sedersi sull'acqua che sembra un pavimento, a gambe incrociate.

Aspetta.

"Ci hai messo anche troppo."
Quando abbassa lo sguardo per cercare il suo riflesso l'immagine che gli restituisce lo sguardo è diversa.
Il sé dell'altra dimensione è quasi come se lo ricorda. Snello ma non troppo magro, sano, senza occhiaie e con solo qualche filo grigio tra i ricci, senza pizzetto, meno cicatrici e addosso vestiti colorati che un tempo anche lui amava portare. È giovane come lui non lo sarà mai più.

E' diversa anche l'espressione: il sorriso è beffardo e negli occhi si è infiltrata una durezza di chi il metallo se lo è fatto scendere fin nell'anima, liquido e velenoso come il mercurio.
E' una durezza che riconosce.

"Non ti è bastato quello che hai fatto?"
Il Brendan dell'altra dimensione, quello che ha fatto di tutto per proteggere il suo mondo a discapito del loro durante il periodo della collisione, quello che non avrebbe esitato un secondo ad ucciderlo per questo, ride di una risata molto aspra.

"Quello che io ho fatto a chi esattamente? Non basta quello che tu hai fatto a te stesso, piuttosto?"
Il doppio lo indica, continuando a sogghignare. "Guardati. Sei patetico, Brendan Scott. Sei patetico e lo sai."

 Brendan ringhia, un ringhio che arriva dal profondo del petto e anche nel sogno gli fa vibrare dolorosamente le costole spezzate, ma si trova incredibilmente a corto di parole.

"Che cosa vuoi da me?"

"Just checking out. Ogni tanto non posso  controllare come vanno le cose?" La voce dell'altro Brendan è allegra, quel sorriso non ha mai nemmeno tremato.
"Non devi odiarmi, sai." Finalmente l'altro si fa più serio. "Ho fatto quello che dovevo. Quello che pensavo potesse essere giusto."

La sua voce, quella che gli esce dalle labbra, vibra invece di rabbia. "Pensavi potesse essere giusto ammazzare miliardi di persone? Sei stato tu che hai perso."

Il doppio inarca le sopracciglia, scettico e sarcastico. "Ma davvero?" Di nuovo ride.
"Sai bene che a me non piace prendere rischi e non amo le mezze misure. E la speranza che ti ha portato fin qui é questo. Un rischio."

Il sorriso del doppio mostra tutti i denti, è un sorriso accattivante.
"La verità, Brendan Scott, è che non hai le palle. Se pensi che qualcosa cambierà con quella tua stupida scuola del cazzo...ti sbagli. Di nuovo, lo sai anche meglio di me che siete lontani solo un giorno sbagliato dal tornare i cattivi. La gente ascolta l'odio di chi vi ha pestato, ascolta la paura che seminano col sangue. E che cosa fate voi? Lezioni e al massimo qualche dibattito in tv. Ti rendi conto? Guardati. Sembri una candela consumata. Quanto ancora pensi di poter andare avanti?"

Brendan chiude le mani a pugno, ed trova quasi strano come nei sogni si senta il dolore della realtà.
"È qui che ti sbagli. Perché finché resterà qualcosa per cui combattere lo farò, e non come pensi.  È il futuro che stiamo costruendo. Ed è normale che ci sia la paura, ma si combatte con l'esempio".

"Ah sì? Il futuro?"
L'altro Brendan agita noncurante una mano, e compaiono altri due riflessi che si tengono per mano. Il bambino con gli occhiali, e un altro della stessa età  che un poco gli somiglia. Gli occhi stavolta verdi hanno la stessa forma, è più alto e robusto  dell'altro, senza occhiali, i ricci neri e  la pelle del colore di Andrea,  ma il sorriso sicuro in entrambi  è identico.

"Lascia i miei figli fuori da questa storia!" Brendan furioso molla il pugno alla superficie fredda, che si increspa come acqua senza che tocchi l'altro.
Lui ride.

"Michael sarà proprio un bravo bambino, sai." Nonostante il sorriso del doppio si sia addolcito c'è un sottofondo perfido che si sta facendo sempre più spazio.
"...Se non muore come il tuo Alexander senza che tu riesca a fare qualcosa in merito, ridicolo ometto che non sei altro. Come pensi di potergli essere da esempio? Quanto pensi che ci vorrà prima che crolli tutto di nuovo? Because nothing gold can stay, so che sai anche questo."

Brendan non sa se le lacrime che gli pungono gli occhi siano reali o meno. La voce che gli esce è malferma come non è quasi mai stata di fronte alle tragedie.
"Stop it. Just...stop. Cosa dovrei fare secondo te, mh?"

"Mi sorprendi. Sai meglio di me cosa fare. Con il Kingdom, con quei terroristi...la risposta è lì ad un passo."

Da accattivante il sorriso dell'altro diventa sinistro, quasi innaturale nella sua soddisfazione .
"Mi hai sentito, Brendan. La speranza é un rischio. Finché ti ci aggrapperai sarai a galla su una barca che affonda.  E loro vinceranno. Vinceranno sempre perché non hai saputo essere come meriti. Essere come me." Il sorriso è diventato una smorfia affilata e crudele.
"Un vincente."

"VATTENE VIA!" Stavolta non si limita a ruggire: si lancia contro quel riflesso con tutto il suo corpo e con tutta la sua rabbia.

Invece di toccare una superficie dura il suo corpo si infrange contro un'acqua densa come catrame, di un gelo che gli fa dolere le ossa.
Il suo doppio ride mentre affonda, ride e ride ancora quando tutto intorno si fa buio, sente ancora la sua risata nelle orecchie quando si risveglia in ospedale con una violenza che spaventa l'infermiera lì per cambiare una flebo.

Forse sono le ferite, ma ancora si sente i polmoni pieni di acqua.

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