domenica 18 settembre 2016

It runs in the family

Albany, 8/08/2024, ore 22.30

La caffetteria dove hanno scelto di vedersi è vicina all'aeroporto internazionale di Albany, un posto neutro e lontano da qualsiasi ricordo.

Il telepate è arrivato in anticipo, troppo inquieto per stare fermo.
Anche ora che si è seduto ad uno dei tavolini, un'enorme bicchiere di té freddo davanti, deve faticare per restare seduto, un piede che dondola a ritmo con la musica di sottofondo, le dita che tamburellano sulla superficie economica e un po' sbreccata del tavolo.

È riuscito a contattare Constantine grazie a Mary ed Alexander, stupiti quanto e forse più di lui dalla richiesta, e continua a sentirsi incredulo, come se stesse vivendo una specie di sogno al contrario. Incontrare di nuovo suo fratello maggiore dopo tanti anni e poter parlare con lui in termini apparentemente così diversi dovrebbe fargli piacere, ma non riesce a sentire altro che una sorta di sordo timore.
Aveva sperato per anni che le cose cambiassero e Constantine si era talvolta approfittato in modo crudele di quella sua timida speranza. Perchè quella volta avrebbe dovuto essere diversa?

Campanelle tintinnano da qualche parte quando l'ingresso si apre, e per l'ennesima volta si trova a guardare ansiosamente in quella direzione. La bocca si secca, tanto che non riesce a deglutire.

Constantine si è fatto crescere la barba e ha l'aria sbattuta, stanca. Si sta guardando intorno con un nervosismo che Brendan trova immediatamente familiare, una camminata da lupo in gabbia che riconosce come sua e che gli mette inquietudine addosso. Non è lo stesso di sempre.
È il telepate ad alzare una mano per farsi notare, di malavoglia. Il sorriso del fratello maggiore è ampio, ma lui non riesce a ricambiare, e lo squadra mentre si avvicina.

"Vedo che i tuoi gusti in fatto di abbigliamento peggiorano con la lontananza da casa." Constantine è elegante, impeccabile se non fosse per la camicia sgualcita. Sembra quasi appena uscito da lavoro.

Brendan non riesce a parlare. Si limita a guardarlo senza alzare la testa, inespressivo.
"Che stai combinando? Sei riuscito a far preoccupare perfino me. Se mi hai fatto salire fin quassù  per niente..."

Non può alzare la voce, fredda come l'espressione, ma Constantine sembra capire, anche oltre la musica e il chiacchiericcio della scarsissima gente della tarda serata, e scuote la testa con un movimento vivace.
"Dritti al punto, eh? Ti ricordavo chiacchierone. Hai anche ragione a comportarti così, vero?" Il suo sorriso, stavolta, è triste, ma gli occhi chiari non smettono di analizzarlo per un attimo. È facile notare come eluda la domanda, con eleganza. "Sembri stanco morto. Da quanto sei ad Albany?".

Brendan alza le spalle, un movimento neutro. Non riesce a capire esattamente cosa stia provando: è come se ci fosse un vetro resistente a dividere i semplici fatti dalla nostalgia, o da qualunque altra emozione.
Non riesce a trovare comprensione, solo un buco vuoto e pulsante lì dove una volta c'era qualcosa...forse affetto, forse odio, forse entrambi insieme.
Si è quasi dimenticato come si fa a stare insieme al fratello senza sentirsi male.
"Da ieri mattina. Sono rimasto a casa dei nostri genitori. Ora facciamola finita, che dici? Fammi capire che diamine ti sta succedendo, e poi ognuno per la sua strada.".

Per un attimo Constantine sembra combattuto. Sul suo volto scompare la sicurezza e si alternano espressioni contrastanti, difficili da decifrare, quasi come se due persone diverse lottassero per prendere il sopravvento.Quando parla esita, schiarendosi la voce.
"E' un po' difficile da spiegare. È successo di tutto, ma...soprattutto...volevo dirti..alcune cose. E magari...presentarti qualcuno."

“Piantala di fare il vago.”
La diffidenza negli occhi di Brendan non sembra diminuire, anzi: si mescola con un pizzico di aperta ostilità.
"Non vuoi rispondermi apertamente? Fatti tuoi, ma se hai intenzione di presentarmi di nuovo qualcuno di quei gruppi di spostati che credono di poter curare i tipi come me la risposta è: vai a farti fottere".
Sta quasi per finire il suo tè ed alzarsi quando il fratello lo blocca per un braccio, supplichevole, disperato.

"No, no...non è come pensi." Constantine stavolta ha lo sguardo di chi sta cadendo nel vuoto e non ha niente a cui aggrapparsi.
"Non si tratta di questo. E'..."
Un sospiro, e poi una lunga pausa, il silenzio del tuffatore che si lancia in un'acqua nera.

"Non credo di avere scelta, è tutto troppo incasinato e non ti fidi di me. Sei un telepate, no? Guardami nella testa".

Quella frase è così inaspettata che Brendan si strozza con il tè, finendo per sputacchiarlo ovunque, tossendo.
Il telepate si ritrova addosso gli sguardi preoccupati di avventori e camerieri, e la mano del fratello che gli batte la schiena.

Senza pensarci due volte si ritrae, scattando in piedi, guardando Constantine con occhi sbarrati, un dolore sordo che cresce nel petto e che trova orribilmente familiare. Un dolore che è fatto di vecchi insulti, trappole e sguardi carichi di rancore.
"Cosa hai detto?"

L'avvocato si fa guardingo, e annuisce, guardandolo con una complicità che gli fa montare una rabbia sorda e cieca, come fuoco nel petto.
"Hai capito...non posso spiegarti cosa succede se..."

"A quanto pare non dovevo credere a quello che mi diceva Hector, eh? Cambiato un cazzo. Bel modo per tentare di mettermi nei guai.". Gli sibila Brendan, chinandosi appena e combattendo l'istinto che gli suggerisce di prenderlo per il collo. "Mi prendi per scemo? Vaffanculo.".

Senza curarsi più di niente, scatta via, digrignando i denti come un cane rabbioso.

"Brendan! Aspetta!" Constantine non ha perso tempo e lo raggiunge dopo pochissimo, di corsa. Cerca perfino di afferrarlo per una spalla, facendolo girare di scatto.
La risposta furente del telepate non si fa attendere: il pugno chiuso colpisce lo stomaco del fratello con tutta la forza che ha a disposizione, con tutta la frustrazione accumulata da anni.

I precedenti pasti del rampante avvocato Scott vanno a far compagnia al freddo asfalto del marciapiede quando lui si china per vomitare probabilmente anche l'anima.

"Speravo che fosse cambiato davvero qualcosa!" Brendan deve lottare per non urlare, e non gli importa nemmeno che intorno a loro si sia creato un piccolo capannello di curiosi.
"Che tu l'avessi smessa con le stronzate!"

Non ce la fa ad impedire che la voce si spezzi e tremi come sta tremando lui, i pugni chiusi per attaccare ancora.
"Lo so cosa vuoi fare. Ci hai già provato. Che vuoi dimostrare?” Deglutendo vistosamente, il giovane si limita a scuotere la testa. “Non mi posso fidare di te. Si stanno tutti preoccupando per le cazzate che fai e ti permetti ancora di fare questi giochetti. Sei una carogna, Constantine. Cresci.".

Finalmente il telepate fa per girarsi, ma una mano freddissima e molliccia lo blocca ancora. Il fratello maggiore non sembra voler mollare, ed è quell'insistenza che comincia a sciogliere quel nodo di rabbia che gli pesa nel petto.

"Non...ti sto prendendo in giro...non è come pensi." Dice Constantine, faticando a riprendere fiato e massaggiandosi lo stomaco, con un'espressione assai dolorante.
"Ho bisogno...ho bisogno del tuo aiuto. Sul serio. Ma...se non mi guardi nella testa non posso spiegarti niente. Puoi farlo, vero?"

Brendan socchiude gli occhi, anni di diffidenza ben stampati nella mente e in volto, e si guarda intorno, senza risparmiare occhiate truci alla gente che, già a distanza di sicurezza,comincia ora a girare alla larga.
"Non qui. Se è di nuovo un trucco per denunciarmi ti faccio vedere l'inferno. Stavolta non c'è mamma a fermarti, ma non potrà nemmeno fermare me da quello che ti farò. D'accordo?"

La risatina di Constantine si trasforma in un accesso di tosse, ma, per qualche motivo, lui comincia a ghignare, un brutto sorriso storto.
"Immagino di meritarmi questo trattamento. Beh, nessuno mi ha detto che fosse facile."
L'avvocato scuote la testa quando accetta il braccio del fratello minore che, riluttante, lo aiuta a rimettersi in piedi.

"Non ho la minima intenzione di farti del male in alcun modo, fratellino. Stavolta devi credermi".
Con un sospiro, e un ultimo colpo di tosse, l'uomo fa un cenno, cominciando a camminare.
"Vieni da me. Ho una macchina, facciamo prima."







La casa di Constantine non è quella che si ricorda, un appartamento elegantissimo in centro che lui aveva avuto l'onore di vedere una sola volta.
Quella è poco più di un monolocale in un condominio e la zona è molto più periferica. Un posto vagamente squallido che non gli piace per niente.
Brendan si guarda intorno a disagio, senza rendersi conto che il fratello non l'ha perso di vista nemmeno per un attimo.
“Lo so, non è quella che ti ricordi, ma...ci sto lavorando. La casa l'ho lasciata a Louise, non mi andava di restare lì. Allora, vuoi qualcosa da bere?”

Il telepate scuote la testa, in silenzio: sembra ancora ostile, sulla difensiva, e Constantine decide che non è il momento di fare conversazione casuale.
Dopo aver chiuso la porta della sua stanza si gira verso il fratello, che sembra quasi una bestiola selvatica, e prende un respiro profondo.

"Hai ancora paura di me. Non ti biasimo." Quella non è una domanda, ma una frase che sa di amaro.
"Sono stato un bastardo, lo so. Puoi fidarti solo stavolta? Poi deciderai cosa fare, non credo che potrai perdonarmi dopo quello che ti ho fatto, ma..."
 Di nuovo il tono di voce dell'uomo diventa supplichevole, a disagio, e per un attimo Brendan intravede un lampo di disperazione nel suo sguardo.
“Ho bisogno di te. Ti prego.”

Nessuna risposta da parte di un telepate ancora arrabbiato, solo sguardi gelidi. Il fratello maggiore fa qualche passo indietro, aprendo le braccia, con un sorriso amaro che sembra renderlo più vecchio.

"Vuol dire che mi fiderò prima io."
Brendan rimane al suo posto, fisso ed immobile anche quando Constantine si allontana, anche quando chiude gli occhi e apre le braccia, prendendo un respiro profondo.

Il telepate fa un salto all'indietro quando sente rumore di tessuto che si strappa, e il suo sguardo corre immediatamente alla porta. Qualcosa, però, annulla all'improvviso tutti i suoi propositi di fuga: qualcosa che sta succedendo al fratello maggiore.
Sulla sua pelle, sui suoi vestiti, dappertutto si sta formando un intrico di filamenti simili ad una ragnatela spessa, che lo ricopre completamente nell'arco di pochi secondi.
Al posto di Constantine c'è una creatura pallida e calva che lo fissa con enormi occhi dorati e gli sorride, calorosa. I suoi denti sono aguzzi.
Brendan sente che la gambe gli si fanno molli, e si ritrova seduto a terra senza nemmeno rendersene conto, le orecchie che gli ronzano.

Constantine, o quello che è ora, scatta verso di lui, ma si ferma di botto, portandosi le mani palmate alle tempie . Sembra fare uno sforzo notevole per ritirare quei filamenti e tornare quello di sempre, come se non riuscisse a controllarsi.
Dopodiché è facile raggiungere il fratello minore e accoccolarsi vicino a lui.
“Stai bene?”. Sono le prime parole che gli dice, poggiando la schiena al muro e chiudendo gli occhi.

“Quando? Che cosa...? Chi è...?”

Alle parole sconvolte del telepate, l'uomo, anzi, il simbionte ridacchia.
“Hai capito cosa sono ora, vero? Mi sa che in quella Scuola ti insegnano molto più di quanto tu dica. Lei è lady Ywain. E al momento è parecchio contenta di conoscerti, e mi sa che non sa ancora con chi ha a che fare. Capito perché dovevi entrarmi nella testa, idiota?”

Brendan riesce ad allungarsi per guardare meglio il fratello e comincia a ridacchiare anche lui suo malgrado.
“...tra tutti i nomi proprio Ywain? Lady? Non c'è storia, tu vai proprio a scegliertele di classe.”

In breve, senza nemmeno sapere come, i due fratelli si ritrovano a sghignazzare, entrambi seduti a terra, schiena contro la parete. Questo, almeno, fino a quando il telepate non riprende fiato, e si fa più serio.
“Sul serio...cos'è successo?”

Constantine, sospira, e si alza, togliendosi la polvere dai pantaloni.
“Mi stai chiedendo una storia maledettamente lunga. Birra?”

Il simbionte torna dopo poco, porge a Brendan una delle due lattine che aveva in mano e si risiede, prendendo a parlare dopo una brevissima pausa, interrotta solo dal suono secco di linguette che si strappano.
Era successo poco dopo che il fratello minore era partito per Philadelphia. Quasi un anno prima.




Constantine era sempre stato una persona intelligente, o almeno si era considerato come tale. Avvocato rampante, già inserito in circoli politici interessanti, aveva sempre visto il suo futuro come un curva sempre in ascesa.
A trentadue anni il suo mondo tranquillo aveva subito uno scossone imprevisto, e quella curva famosa aveva preso tutt'altro andamento.

Era cominciato tutto da una coincidenza.
Il suo studio aveva deciso di mollargli un nuovo caso, uno di quelli spinosi che solo i veri sciacalli avrebbero accettato di prendere in considerazione.
Si era trovato di fronte ad una madre, una giovane donna il cui figlio, mutante come lei, era stato ucciso dal compagno in quello che si voleva far passare come incidente.
Aveva rifiutato il caso, di malo modo, senza nemmeno dare mezza occhiata ai suoi fascicoli, pensando ad uno scherzo: non potevano affidare una cosa del genere proprio a lui!
Insomma, per quanto fosse disposto a fare qualunque cosa per la sua carriera...questo era troppo.
Non poteva difendere un accidenti di mostro, per quanta risonanza avrebbe potuto avere vincere il caso. Ne sarebbe andato della sua reputazione, dei suoi appoggi, di tutto. Avrebbe rischiato di rovinare una possibile carriera politica, o l'ascesa verso circoli più importanti.
Che ne sapeva, poi?Avrebbe potuto essere un vero incidente, considerato l'elevato pericolo insito in tutte le capacità di quei maledetti errori. Poteva allora considerarsi autodifesa, e lui non riusciva nemmeno a biasimare quella persona.

Nessun altro voleva prendere un mare di spine come quello, e perciò quel particolare caso era stato rifiutato.
Nessuno avrebbe potuto immaginare la veemente risposta della giovane madre, che era comparsa più volte allo studio, senza mai arrendersi.
La prima volta che l'aveva vista litigare con la segreteria aveva ridacchiato, poi l'aveva ignorata, alla fine si era addirittura arrabbiato, tanto che l'aveva trascinata nel suo studio e avevano cominciato una violenta discussione durata più di un'ora.
E quanto aveva lottato! Aveva portato nuove prove, nuove testimonianze, si era appellata alla giustizia e all'umano buonsenso. Constantine l'aveva cacciata di malo modo.

All'inizio, passato il momento di rabbia, tutto sembrava normale: aveva ripreso la sua vita come sempre, e la donna non si era ripresentata, con enorme sollievo di tutti quanti. La sua mente, tuttavia, stava lavorando in sottofondo, stava mettendo insieme i pezzi del puzzle.

Senza alcun preavviso, aveva cominciato a sognarla. Aveva cominciato a sognare quegli occhi furiosi.
Il suo sguardo era talmente feroce, talmente disperato che si era piantato nel cervello come un tarlo, e lì aveva cominciato a scavare, e scavare, e scavare.
Ogni volta, ogni santa volta, poteva sentire la sua occhiata di accusa ancora bruciargli dietro la nuca, quando si era girato per aprirle poco gentilmente la porta.

Sempre più spesso si trovava a pensare al fratello, proprio a Brendan.
Alla sua espressione ferita, alle sue fughe, ai giorni in cui tornava disperato da scuola solo per trovare ostilità anche a casa.
Suo fratello aveva rischiato di finire come quel ragazzino: anche quello era stato etichettato come un semplicissimo incidente, un inconveniente i cui colpevoli non avrebbero mai avuto una faccia. L'avevano quasi ammazzato a forza di botte e lui gli aveva voltato le spalle, proprio come aveva voltato le spalle a quella donna.

In comune avevano una sola cosa: un semplicissimo gene.
Constantine aveva tentato di razionalizzare, ma le giustificazioni su cui aveva fondato una vita non riuscivano più a reggere. Pericolosi? Innocui? Fuori controllo, abomini? Innocenti? Animali? Persone?

Lo stesso tessuto di cui era composta la sua vita aveva cominciato a sfaldarsi, un pezzo alla volta. Non poteva tornare a casa, non poteva stare in compagnia quando quei dubbi lo tormentavano giorno e notte.
La sua stessa esistenza, la stessa vita per cui aveva combattuto così fieramente, i suoi amici, sua moglie, tutti i suoi ideali: quelle cose stavano barcollando improvvisamente, come assi di legno marcio in un ponte sospeso.
Aveva cominciato a sentire schifo anche verso se stesso, e quello lì proprio non era riuscito a razionalizzarlo, non più.

A disagio perfino con se stesso senza capire bene il perché, Constantine si era trovato a girare in piena notte per il parco, la sua pistola tra le mani.
Meditava strani pensieri, istinti che si infiltravano nella sua mente come fumi velenosi...e invece l'aveva trovato lei.
Ywain. Una piccola, luminosa creatura vagante in cerca di anime sperdute.
Si era legata a Constantine senza chiedere alcun permesso.

Lui si era svegliato la mattina dopo senza ricordare alcunché, senza più pistola, bagnato fradicio e con un forte mal di testa.
“Sembrava una sbronza, Brendan, ti giuro. Solo che ad un certo punto lei ha cominciato a parlarmi nella testa. E..mi sono trasformato nel bagno di casa. Mi sono chiuso due giorni dentro, Louise pensava fossi impazzito.”

Aveva addirittura meditato di andare da uno psichiatra, sicuro anche lui di aver perso qualche rotella, ma Ywain l'aveva nuovamente bloccato. Aveva cominciato a parlare, a parlare, e non si era più fermata, spiegandogli finalmente tutto.
La cacciatrice di anime in pena, la guida dei tormentati l'aveva trovato, e forse chissà, sarebbe riuscita a farne qualcosa di lui e della sua vita incasinata. Quello era l'unico scopo della sua lunga vita, decenni, molti più di quanto potesse immaginare.

La sua pressione continuava ad essere costante, continua: talmente forte, talmente traumatica che lui era tornato a parlare con la donna, era andato a scusarsi in ginocchio, sperando di liberarsi di quella vocina insistente che non lo faceva dormire di notte.
Aveva addirittura accettato di difenderla in tribunale e con i suoi colleghi, ma l'ufficio aveva ormai rigettato il caso, e non c'era più verso di tornare indietro. Stava attirando qualche occhiata perplessa di troppo.

Non ci aveva pensato due volte: si era licenziato in tronco, rinunciando per disperazione a tutte le sue ambizioni, e aveva accettato di difenderla di ufficio. Il caso era ancora in corso, complesso e spinoso come avevano previsto.
Questo aveva rovinato il suo matrimonio. Louise si era arrabbiata con lui, era diventata amara e cattiva, e lui aveva cominciato a vederla con occhi nuovi. I silenzi erano diventati ghigliottine, e avevano divorziato di lì a breve.

Ma Ywain non l'aveva lasciato e non si era zittita, per niente. Pian piano avevano fatto amicizia, pian piano aveva cominciato ad apprezzare la sua calma e la sua gentilezza... ma era impossibile ignorare le sue parole, pesanti come macigni. Non riusciva nemmeno ad odiarla, non più. Non riusciva a darle torto. Non quando le sue parole corrispondevano ai suoi sospetti.

Aveva cominciato a parlargli anche di Brendan, di nuovo aveva cominciato a fargli pressione, fino a quando non l'aveva chiamato...e ora erano lì, appoggiati ad un muro, a parlare.

Io non...volevo questo, fratellino. Non so che fare. Non...lo voglio. Ma non so dove...cosa...”
Le parole di Constantine si fanno incoerenti, e poi si spezzano, la voce che si fa sottile come quella di un bambino.
“Non so più chi sono.”

Per quanto cerchi di sforzarsi, Brendan non riesce a trovare niente da dire. L'unica cosa che gli viene in mente è mettere una mano sulla spalla del fratello, che non si scosta.
“Pensi di registrarti?” È la prima domanda cauta e preoccupata del telepate dopo un lungo silenzio.

“Non lo sanno nemmeno i nostri genitori. Nemmeno Hector..e non glielo dovrai dire.”
Constantine scuote la testa, poggiando il mento sulle ginocchia, rannicchiato, ma sogghigna, un'espressione orribile e ritorta.
“Non credo che mi libererò presto di Ywain, non mi illudo, ma non voglio essere marchiato a fuoco. Ce l'hai presente quell'SSA, vero? Passerà, e io... Non voglio essere visto come quello che non sono.”

Un'ondata improvvisa di frustrazione investe Brendan, che sbuffa, cercando di controllare l'impulso di allontanarsi a quelle ultime parole un po' sprezzanti.
“Benvenuto nel mio mondo, allora”.

L'occhiata improvvisamente ferita e sperduta del fratello maggiore gli fa venire voglia di rimangiarsi quelle parole acide, e fa quasi per parlare quando lui lo interrompe, con un sospiro.
“Scusa, ho esagerato. È che...è difficile abituarsi. Non...”

“Per qualunque cosa lo sai che puoi contare su di me, d'accordo?”
Le parole veementi del telepate fanno sorridere Constantine, che si allunga per arruffargli i capelli, un gesto così familiare e allo stesso tempo lontano da far venire il magone ad entrambi.

“D'accordo. Ma ora finiamola di stare seduti qui come due deficienti, che dici? Ti offro una pizza. Abbiamo dieci anni da raccontarci.”

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