venerdì 22 aprile 2016

Birthday wishes

Me ne vado, lascio Philadelphia.
Marshall ha intenzione di fare di me una donna onesta. Ma qui o altrove farò il mio dovere sempre.
Sii forte, allenati, diventa più forte e non avere paura di te stesso.

Pearl


Brendan guarda incredulo quel messaggio, arrivato da un numero che non riesce più a raggiungere.
Se non fosse bloccato da un paio di ingessature e un'ingombrante sedia a rotelle prenderebbe la moto, andrebbe alla rincorsa, farebbe...qualcosa, qualunque cosa.
Ma quella terrificante inerzia lo stordisce e lo instupidisce, tanto che alla fine si ritrova a scorrere la memoria dei messaggi, senza sapere che fare.
Pearl...gentile Pearl, tormentata da sogni di fiamme. Kit, le cui ossa bruciavano all'inferno da molto più tempo di quanto potesse immaginare.
Pearl e Talbot, il rimpianto incatenato al mondo terreno.

Brendan sospira, quando per la stessa inerzia torna a leggere il vecchio scambio di messaggi con Hector.
Hector, studioso e dal cuore grande, che si preoccupa per entrambi i fratelli maggiori. Hector che non ha mai odiato nessuno.

C'è anche un altro numero a cui sta tornando sempre più spesso, durante le notti in cui le gambe rotte non lo fanno dormire, durante i giorni che passano sempre uguali e che lo fanno sentire una rondine con le ali spezzate.
E quando apre la schermata di invio messaggio sente un paio di mani invisibili stringergli il collo, un nodo scorsoio fatto di rimpianti.

Ma io non posso avere rimpianti.

 
 
Ulteriore scambio di messaggi in data 23 aprile, tarda nottata. Il numero non è segnato in rubrica.

So già che mi pentirò di averlo fatto.
Ringrazia tuo fratello e un paio di  amici che mi hanno fatto capire che non vale la pena di odiare così tanto. 
Ad odiare si diventa ossa bruciate...ed è un tantino troppo presto per questo.
A questo punto non mi resta altro da fare che parlare con te.
Ora però fammi capire. Cosa vuoi? Porca miseria, mi è venuto un infarto quando ti ho sentito.



[Grazie, Brendan. Lo so che ti costa molto.
Non potevo mandarti un messaggio o una mail.
 Avresti cancellato tutto e mi avresti bloccato, ti conosco.
Non posso parlartene in questo modo, ma sappi che mi dispiace. 
Mi dispiace per quello che ti ho fatto, non te lo meritavi.
Forse è troppo tardi per scusarmi, sono passati tanti anni...]


Hector aveva ragione, qualcosa non va.
Per caso ti hanno dato qualche botta in testa? No, altrimenti non me lo spiego. Sicuro di essere ancora Constantine, lo stronzone che conosco?
Da quando sei andato al college hai cominciato a simpatizzare e militare in gruppi anti superumani, hai sposato una militante attiva, hai fatto finta per anni di non essere il fratello di un mutante e ammetto che hai lavorato parecchio bene per cercare di farmi sentire come tu credevi che fossi. 
Ora che cosa è cambiato?


[E' cambiato che mi sono accorto di aver fatto una cazzata.
Ho...in questi mesi stanno cambiando parecchie cose.]


Beh, complimenti per essertene accorto, meglio tardi che mai: ti darei un biscottino.
Questo non toglie che meriteresti un pugno in faccia.


[Temo che non possa permettertelo.
 Non sei l'unico che tiene al suo visino come una femminuccia.]


Ehi! Stai attento a quello che dici, non ti ho ancora perdonato.


[Lo so. 
Tra qualche giorno sarò a Newark per un convegno, comunque. Volevo dirti questo.
Non è proprio vicinissimo a dove vivi tu ora, ma sempre meglio di Albany.
Puoi raggiungermi?
Ci sono troppe cose di cui parlare, e non riesco nè posso dirtele tutte via messaggio. 
Ti prego.]


Sei sempre l'uomo delle sorpresine, eh? Porca miseria.
Vedrò cosa posso fare.
Sono stati giorni strani e pieni di imprevisti.
Ho preso un bel po' di ferie da lavoro, ultimamente, e non so se posso permettermelo ancora.


[Ti prego. E' importante.
Ti pago io il viaggio, me la vedo io con il tuo datore di lavoro, ma...ti prego.
Ho bisogno di parlare con te.]


Okay, ora sei tu che mi stai facendo preoccupare.
Va bene. Cercherò un volo quanto prima.


[Grazie fratellino. Sei il migliore.
Non sarebbe divertente se ci vedessimo per un po'?
Parlare, fare i cretini come quando eravamo ragazzi...mi mancano queste cose.
Scommetto che sei ancora una schiappa a basket.]


Senti chi parla.

E...grazie. Non credevo di poter parlare ancora con te in questo modo.


[Non ringraziare me. 
Ma ne parleremo poi, va bene?
Fammi sapere quando arrivi e dove alloggi, ci organizzeremo meglio.
Non fare stronzate e non raccontarmi cazzate. Vieni.]


Gli imperativi li usi con la sorella che non hai, scemo.
Ci vediamo presto.


[E a proposito, fratellino...buon compleanno.]


martedì 19 aprile 2016

Blood is thicker than water

Salvato nella memoria del telefono di Brendan c'è uno scambio di messaggi,  data 20 aprile, tarda nottata. 
L'altro interlocutore è segnato in rubrica come "Piattola".



[Oi, Brendan.
Constantine mi ha riferito che avete discusso.
...Com'è andata?]

Ma guarda un po' chi si fa sentire.
Si è anche degnato di dirtelo!
Porca puttana, Hector, ma è possibile che non riesci a fare più attenzione al tuo cellulare?
Per una santa volta, togli quel naso dai tuoi stramaledettissimi libri!


[Presumo non sia andata bene, allora].


Presumi???
Se Constantine è stato così gentile da dirti che si è fregato il mio numero, fatti raccontare da lui.
.
  
[Una volta eri più simpatico.
...In realtà mi ha detto qualcosa.
Mi ha detto che lo hai mandato a fanculo strillando nel suo orecchio alle due del mattino.
Brendan, si sta seriamente preoccupando per te. Dovresti farlo parlare, prima o poi.
Senza urlare, magari.]


No, fammi capire, ora ti ci metti anche tu con questa storia?
Carino preoccuparsi per me dopo così tanto tempo che ha fatto finta di non avere un fratello.
Non ho voglia di discutere di questo, non è il momento. Basta.


[E dai! La vuoi piantare?
E' da quando te ne sei andato a vivere a Philadelphia che Constantine sta cercando di parlarti, ma a Natale sei scappato e non sei più venuto...]


A Natale sono "scappato", vero, ma avevo un motivo.
Non sopportavo lui e quella troia sciacquata di sua moglie.
Scusa se  non mi sono accorto che voleva parlarmi, in mezzo agli insulti non ci avrò fatto caso.


[Tu non hai idea di quanto hanno litigato dopo che papà ti ha accompagnato all'aeroporto.
E' da un pochino che stanno discutendo più del solito. 
Domenica scorsa è venuto a pranzo senza di lei...non è mai successo da quando ce l'ha presentata.]


Hector, parliamoci chiaro. 
Non me ne può fregare di meno delle dinamiche coniugali di quei due scoppiati.
Lo sai per cosa simpatizza quel coglione di tuo fratello. E viene pure a dire di essere preoccupato? 


[Senti, io non so che gli passa per la testa e perchè vuole parlarti.
Davvero, non mi sono mai intromesso tra voi due, però stavolta è diverso.
Constantine è diverso. C'è qualcosa di strano.
Mi chiama ad orari strani per chiacchierare, e mi ha pure detto che non sta frequentando più...le vecchie compagnie. Sai, i soliti.
Quando me l'ha detto era sbronzo marcio e non credo voglia farlo sapere, ma nemmeno il lavoro deve andare così bene, nell'ultimo periodo]


Gli farò un applauso la prossima volta che lo vedo, allora.
Magari si sta rendendo conto di che immane stronzo è, gli farebbe bene.


[Brendan, per favore. Dovreste smetterla entrambi e parlare per una buona volta.
Io non ti posso forzare, lo sai.
Prometti che ci proverai? Lo so che è un coglione, lo è sempre stato, ma fate tutti e due parte della stessa famiglia. Siamo fratelli. Siete fratelli.]


Peccato che per quasi dieci anni si sia comportato da schifo.
Un particolare che invece io non dimentico.
Non ti prometto niente, ma...ci proverò, ok?



[Bravo.
Inoltre, mi raccomando: qualche volta chiama anche papà o mamma, si preoccupano anche loro.]


...non sono io il fratello maggiore?
Ma torna a giocare al dottore (ha-ha)!


[Anagraficamente tu e Constantine siete i maggiori, ma temo che il ruolo di responsabile della famiglia tocchi a me.
E smettila di prendermi per il culo, idiota, o la prossima volta che ti vedo ti imbottisco di sedativo e ti mando in Africa in una cassa di banane.]


Non sai resistere al mio fascino, ammettilo.
Mi raccomando, studia e rendi papà fiero, che almeno avrà un medico in famiglia.
E partecipa a qualche festa del college, non fare il bigotto come al solito.


[E tu fai il bravo giù a Philadelphia, ti conosco abbastanza bene da sapere che ti sei fatto già conoscere da metà città, e non in senso buono.
Non ho tempo per le feste idiote.]


Non sai vivere.


[Mi piace quella che tu definisci "una rottura mortale di palle", che vuoi farci.
Ora devo andare, ho un esame a breve e devo studiare.
Mi prometti che ci pensi?]


...va bene. Ci penserò.



giovedì 14 aprile 2016

It takes two to tango

Anche se le sue mani stanno diventando come gelide come blocchi di ghiaccio, e sta rimpiangendo di non aver preso i guanti, Brendan non riesce a fermarsi.
La bella moto nera romba per le vie di Philadelphia ed è ormai quasi l'alba, grigia e fredda come sempre.
Il cuore gli galoppa in petto, più veloce dei giri del motore, e nella testa è anche peggio. Non riesce a smettere di pensare.
Anzi, i pensieri gli corrono dietro come una muta di bestie selvagge e, per quanto possa andare forte, per quanto strette possano essere le curve, ha il sentore che possano arrivare a mordergli le chiappe da un momento all'altro.
Il primo istinto è quello di urlare fino a farsi dolere la gola. Tanto, chi mai l'avrebbe sentito?
Eppure non un suono gli esce dalla bocca nascosta e appena socchiusa. Sente un groppo in gola, un grumo di angoscia che non c'era da anni e non si scioglie.
Era bastato un attimo, pochi minuti appena, ed eccolo tornato. Che bell'amico fedele.

E la mente viaggia ancora, torna per l'ennesima volta a poche ora prima, quando andava tutto bene.


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Quella sembra una notte tutto sommato tranquilla, il tempo indeciso e primaverile.
Le pagine del libro che sta leggendo sembrano un ammasso confuso di inchiostro.
Brendan batte le palpebre, strofinandosi gli occhi stanchi e poi il viso, guardando l'orologio digitale appeso alla parete, unica decorazione in una casa quasi spoglia.
Quasi le due del mattino...ora di andare a dormire.
Il suo piccolo appartamento è immerso in un silenzio sereno, ma ogni volta che le finestre tremano, al passaggio di un mezzo più pesante o dal motore chiassoso, il telepate sobbalza e si guarda intorno allarmato.

"Che palle."
Ha finalmente ripreso a riposare in modo più o meno regolare, senza incubi terrificanti, e le giornate stanno tornando alla regolarità: è perfino riuscito a tornare a lavoro.
Per come stanno andando le cose può anche considerarsi felice.

La suoneria del cellulare, la solita anatra starnazzante che tanto scandalizza chi gli è intorno, lo coglie di sorpresa mentre sta per alzarsi dal vecchio divano.
Brendan osserva lo schermo, che ogni tanto sfarfalla, indeciso se funzionare o meno. Il numero non gli è conosciuto, e il sorrisetto che aveva cominciato a nascere sul suo viso si dissolve.
Il telepate si affretta a rispondere, risiedendosi, improvvisamente teso.

"Chi è?"

"Non si dice nemmeno pronto? E dire che veniamo dalla stessa famiglia!".
 La voce all'altro capo del telefono, specialmente la risata che viene dopo, gli fa perdere quel poco di colore che ancora rimane sulle guance e gli fa crollare un peso in gola e sulle spalle.
"Sei maleducato, fratellino."

"Constantine."
Brendan si alza dal divano con uno scatto talmente violento che le molle cigolano, e comincia a misurare il piccolo ambiente a passi larghi, parlando a brevi soffi da gatto rabbioso.
"Che cazzo vuoi da me?"
La presa sul telefono si fa così forte che perfino le nocche sbiancano.

"Quanta veemenza. Abbiamo cominciato a parlare a domande?"
Constantine ride di nuovo, e per un attimo sembra tornato il ragazzino di una volta, quello che gli ha insegnato a giocare a basket e a strimpellare la chitarra.

"Volevo solo sentirti. Non sei venuto per la caccia alle uova e non ti sei nemmeno scusato. Nonna Jenna si è arrabbiata da morire con te."

"Tu che mi vuoi sentire? Questa è nuova!"
Brendan deve mordersi la lingua e contare fino a dieci per non urlare, ma non riesce a contenere il sarcasmo. Le parole gli escono di bocca a fatica, e solo a costo di lunghi silenzi.

"Cosa ne dice la tua cara mogliettina? L'ultima volta che vi ho visti...come ha detto? Che le faceva schifo avere un mutante...no, un mostro alla stessa tavola e nella stessa famiglia. E mi pare tu fossi d'accordo, che bravo marito amorevole. Che vuoi?"

Cade un silenzio profondo, ma il telepate si rende conto di non essere capace di staccare il cellulare dall'orecchio, anche se avrebbe tanta voglia di farlo.

"...scommetto che mamma ti ha dato il mio numero." Non sembra nemmeno una domanda, ma suo fratello ride di nuovo.

"Vai subito al punto, eh? Ti ricordavo più chiacchierone. Mamma non c'entra niente col numero, anche se farà i salti di gioia se scopre che ci siamo parlati. L'ho rubato dal cellulare di Hector.".
Ammette, candido e apparentemente ancora allegro, la voce brillante, impermeabile alla rabbia che ormai sembra essersi impossessata del fratello minore.
"Ti sto chiamando dall'ufficio. Louise oggi è tornata a casa prima e io avevo...del... lavoro arretrato."

Di nuovo cala un silenzio pieno di disagio e cose non dette. Brendan continua a girare per la casa come una tigre in una gabbia troppo piccola, sforzandosi di non dare calci a niente.
"Allora? Quando cominciano gli insulti, ora che hai la fortuna di potermi raggiungere?"

La voce di Constantine si fa improvvisamente seria.
"Brendan..." Un sospiro, e l'uomo continua a fatica. Il suo buonumore apparente defluisce via, come acqua da uno scarico. "Non ho...non voglio...".

Un sospiro, e finalmente mette le parole insieme, con falsa sicurezza.
"Ho saputo di quello che sta succedendo a Philadelphia, e volevo assicurarmi che stessi bene, visto che non dai mai notizie di te. Tutto qui."

Brendan si passa una mano sul petto, lì dove è stato colpito dalla melma dello scorpione, le ustioni guarite che, sotto la maglia, hanno lasciato la pelle ancora morbida e nuova, e alcuni segni irregolari che probabilmente non se ne andranno nemmeno col tempo.

"Sto una meraviglia. Strano che cominci a preoccuparti proprio ora. Di solito fai finta di non conoscermi, quando va bene, altrimenti passiamo direttamente alle offese, eh?"

"...dobbiamo parlarne proprio ora, a telefono?" Constantine sembra smarrito, e sembra aver perso tutta la sua sicurezza, di botto.

"Certo che no. Se fosse per me non ne parleremmo proprio."

Un altro silenzio sbigottito accoglie le parole feroci del telepate, e quella dell'avvocato Scott sembra quasi una supplica.
"...e dai, fratellino...non voglio litigare. Mi faceva piacere..."

"TI FACEVA PIACERE?"
L'urlo di Brendan fa calare il silenzio totale dall'altra parte del telefono.
"Ora stammi a sentire, brutto pezzo di stronzo..." Ringhia, senza più riuscire a controllare la rabbia che sale a fiotti, come lava bollente.

"Non ho intenzione di parlare con te. Da quando mi chiami alle due di notte per chiacchierare e chiedermi come sto? Non voglio sentire niente di qualunque cazzata ti esca dalla bocca, e se provi a chiamarmi di nuovo vengo di persona a prenderti a sberle, hai capito?"

"Brendan...per favore..." La voce di Constantine è stranamente bassa, un sospiro, ma il telepate non si ferma, furioso.

"Niente per favore. Che cazzo pensavi, chiamare come se nulla fosse e aspettarti il tappetino di benvenuto? Vaffanculo. Stai lontano dalla mia vita."
 Senza aspettare nient'altro, senza nemmeno ascoltare quello che suo fratello ha da dire, Brendan interrompe la telefonata, spegnendo subito dopo il cellulare, il respiro che gli esce rapido dai denti digrignati.

Lo stesso telefono viene lanciato sul divano, mentre il telepate afferra la giacca, le chiavi di casa, il casco e le chiavi della moto e apre la rumorosissima, scassata porta di casa, per poi chiuderla senza grazia, con un botto.

venerdì 8 aprile 2016

Black hole

Brendan entra piano dalla porta di casa, e non ci crede nemmeno lui. Odori, suoni e colori familiari lo assalgono come un tornado, e lui per un attimo si ferma.
Gli hanno comprato abiti nuovi, ma lui è talmente magro da ballarci dentro, gli occhi sgranati che sembrano enormi, come quelli dei gufi spaventati dalle prime luci del mattino.

"Abbiamo pensato di spostare il divano letto in soggiorno. E' meglio che non ti affatichi a salire le scale per ora, che dici?".
La voce di Mary, che sembra invecchiata di secoli durante quell'ultimo, infernale, mese, sembra allegra, ma i suoi occhi seguono il secondogenito con una preoccupazione che l'avrebbe tormentata per sempre.

Brendan si sta guardando ancora intorno, la testa, inclinata verso l'alto, su cui cominciano a ricrescere i capelli prima rasati, senza che riescano ancora a coprire le cicatrici del colpo.
Zoppica un po', un'andatura a tratti incerta che sarebbe andata lentamente a scomparire nei due anni seguenti.
"E'...bello."

Alexander e Mary si scambiano uno sguardo sollevato quando lo sentono parlare e muovere la bocca allo stesso tempo.
Gli ci sono volute due settimane per tornare dal posto lontano in cui le botte lo avevano trasferito e altre due per tornare in piedi, ma l'ultimo periodo in ospedale è stato un delirio crescente di scoperte, panico, recriminazioni, parole e cose lanciate senza mira.

Ora, però, il loro secondogenito sembra tranquillo, quasi in modo irreale, sotto gli occhi ansiosi di due genitori che non sanno dove e se ripararsi in caso arrivi l'esplosione.
 "BRENDAN!"

Lo strillo di Hector, che arriva a passo di carica dalla cucina, fa sobbalzare un po' tutti, spezzando l'atmosfera sottomarina, e il rosso undicenne si precipita ad abbracciare il fratello maggiore, che lo guarda sorpreso prima di ricambiare, esitante.
"Papà è venuto a prendermi prima da scuola, volevo esserci quando tornavi! Come stai? Ti hanno fatto un sacco di domande, vero?"

Il fratello gli risponde con un sorrisetto altrettanto stentato, ma si fa portare abbastanza docilmente, sottobraccio, verso quella che sarà la sua stanza temporanea.
"Dai, vieni! Devi vedere che figata, ti ho portato tutti i tuoi film, così puoi vederli se ti annoi in questi giorni!"

Il minore della famiglia Scott si comporta come se non fosse successo niente. Da quando ha avuto il permesso di andare a trovare il fratello non ha mai mancato un appuntamento.
Non batte nemmeno le palpebre quando l'espressione di Brendan si fa accigliata, rispondendogli  senza girarsi nemmeno e senza nemmeno accorgersi del totale silenzio che li circonda.

Ha accolto la mutazione con indifferenza velata da sana invidia.
"Cosa? Se li ho messi in disordine? No, sono ancora in ordine alfabetico. Certo che sei proprio un rompipalle..."

Mary ed Alexander si permettono un leggero sospiro di sollievo, e si appoggiano l'uno alla spalla dell'altra, esausti. Il marito guarda al piano di sopra, e scuote la testa.
"Almeno lui..."


La sera arriva veloce.
Quando Mary entra nell'arrangiato soggiorno, per dare la buonanotte, trova Hector ancora dal fratello, addormentato in modo strano, la testa appoggiata al bracciolo del divano letto. La televisione è accesa, vi scorre un film reso muto. Zombie che camminano per una strada, gente che scappa.

Brendan è ancora sveglio. E' rimasto in silenzio per la maggior parte della giornata, limitandosi a scambiare solo qualche parola di tanto in tanto e ha mangiato il minimo necessario alla sopravvivenza, qualche boccone e poi basta.
Ora guarda il film con l'aria distratta di chi non osserva davvero, steso nell'unica posizione che non gli fa dolere le costole.

Mary si sente stringere il cuore, e si avvicina per passargli gentilmente una mano sulla testa, in una carezza leggera.
"Dovresti dormire, sai. Non ti fa bene restare.."

"Constantine non c'è? Non viene?" Domanda il sedicenne, di punto in bianco, alzando lo sguardo, appena velato. "Nemmeno ora?".

La madre gela, alzando per un attimo lo guardo verso l'alto.
"Tesoro...lo sai che è sempre occupato con il college, ed è periodo di esami. Ha poco tempo, scommetto che..."

"Hector mi ha detto che è al piano di sopra." Brendan non ha aperto bocca, ma la sua voce comunque fa irruzione nella mente di Mary, e il suo tono mentale è scontento.
La donna ritira la mano, che ancora teneva sulla testa del figlio, come se si fosse scottata.

"Brendan...ne abbiamo parlato...Puoi dirlo ad alta voce? Non va bene... Lo sai che a me non fa piacere..." La madre si interrompe di botto quando lo vede incupirsi di botto, mortificato, e sospira.

"Sì, tesoro. Solo che...non ha molta voglia di parlare, ora. Magari...". L'espressione di Brendan peggiora, e per un attimo assomiglia al bambino che è stato un tempo, sperduto in un mondo di cui ancora non conosceva le regole.

"Pensa che sono un mostro, vero?".

"Più o meno. Ma non è colpa tua." La voce fredda di Constantine fa girare tutti e due di scatto, mentre Hector continua a dormire.
"Non è colpa tua se sei nato sbagliato."

"Constantine!". Mary è senza fiato. Il figlio maggiore si è rifiutato di andare a trovare Brendan da quando hanno comunicato la mutazione a tutta la famiglia.
Sembra stanco, amareggiato: guarda il telepate in modo tale da farlo quasi rimpicciolire nel letto, e fargli distogliere lo sguardo.

"Credevo che tornassi più tardi. Altrimenti non mi sarei fatto trovare." Dice, storcendo la bocca.

"L'unica cosa che mi dispiace è che le voci stiano girando, Brendan, e al circolo non sai quante domande mi hanno fatto. Dovevi proprio farti pestare, eh?" Il giovane scuote la testa.
"Di tutti, proprio tu...è davvero un peccato. Un peccato vergognoso...".

L'espressione è talmente schifata che Brendan si nasconde sotto le coperte.
"Non ho fatto niente di male!"

Il fratello maggiore scuote la testa, e quasi sorride.
"Non è quello che fai....ma quello che sei. Mi stupisco che non abbiano ancora rinchiuso te e quelli come te in qualche edificio di massima sicurezza, lì dove meritate di stare. Saremmo tutti più felici..."

"Proprio tu fra tutti, fratellino...tu...è proprio vero che i mostri si nascondono in famiglia. Eravamo così normali...e poi ci sei tu. Un'anomalia genetica."
Ripeté Constantine, il volto atteggiato in un ringhio. Il dito che indica il fratello è quasi accusatore.

"E' una fortuna che io viva lontano da qui. Sarebbe più giusto se tu sparissi dalla faccia di questa terra, ma so di chiedere troppo. Davvero, non ti meriti di essere un orrore come loro."

"CONSTANTINE, VAI VIA! ORA!" L'urlo di Mary fa sobbalzare tutti e fa addirittura svegliare Hector, che si guarda intorno con aria stordita, per poi sgranare gli occhi quando vede uno
 dei fratelli appoggiato allo stipite della porta e l'altro che guarda in quella direzione, pietrificato.

"Volevo solo dirti che vado al college stasera, Mà. Non ti affrettare, tanto anche il mostriciattolo è tornato a casa, e non c'è di che preoccuparsi."
Il ragazzo risponde, gelido, prima di fare un passo indietro.

"Ti volevo bene, Brendan, te ne volevo proprio tanto. Mi dispiace che le cose siano andate così.".

Mary corre dietro al fglio maggiore quando questi va via verso la cucina, e dopo poco la porta sbatte, e si sentono delle urla nemmeno tanto soffocate, ma non intellegibili.
Hector guarda il fratello, e gli mette una mano sulla spalla. E' come toccare un pezzo di arenaria. Sono minuti che non si muove, fermo lì a guardare il punto dove Constantine era prima.

"Vedrai che gli passa...lo sai che è un coglione."
Ma Brendan non risponde a quelle parole di consolazione, non reagisce nemmeno a quelle. Dopo un poco, con lo stesso atteggiamento assente, si gira e gli dà le spalle, e ad Hector non rimane altro da fare che alzare i tacchi e andarsene anche lui, alla chetichella.

Quando Brendan rimane da solo cerca di fare di tutto per non singhiozzare, per seppellire quella voragine che si è improvvisamente aperta nella sua testa, quel buco nero fatto di angoscia che al momento risucchia tutto quello che c'è intorno, lo distorce.
Il mondo gli passa per la testa: la cautela dei suoi genitori, la madre che ritrae la mano, lo spavento delle infermiere quando parlava senza volerlo nella loro testa, e ora lo sguardo pieno di disprezzo di suo fratello maggiore.

Il buco nero continua a succhiare via ogni cosa, senza pietà, fino a lasciare un vuoto cosmico.
Forse Constantine non ha del tutto torto.

Quando arriva il mattino Brendan non è più nel suo letto, e la vecchia automobile del padre è sparita.

lunedì 4 aprile 2016

To get wind of it

La stanza del dottor Julien Rodriguez è bianca ed asettica, e per una volta Alexander si ritrova a pensare quanto sia spaventoso per un paziente dover aspettare in un posto così poco confortevole, senza che lo sguardo riesca ad appigliarsi su nulla.

Mary è accanto a lui, seduta rigidamente su una sedia, e gli tiene una mano, gliela stringe spasmodicamente nonostante il viso non tradisca il minimo cenno di emozione. E' stanca però, e ha gli occhi arrossati di chi passa le sue notti a piangere fino ad esaurire le lacrime.

Quando la porta si apre è lei la prima a scattare in piedi. Julien Rodriguez è un uomo sulla quarantina, alto e slanciato e dai chiari tratti ispanici. Porta un paio di occhiali grandi e spessi, un plico di fogli in mano, e la sua espressione è tale che Alexander deve sedersi di nuovo, le gambe molli come gelatina.
"Alex... Mary...perdonatemi il ritardo."

"Perchè ci hai chiamati a quest'ora, Julien? E' successo qualcosa a Brendan?" C'è una traccia udibile di ansia nella voce del professor Scott, tanto che Mary lo guarda, sperduta. "Ci sono...novità?"

Il dottore cerca di sorridere, ma pare troppo guardingo. Si siede anche lui con calma, posando il plico di fogli sul tavolino.
"Stai tranquillo. Sono solo arrivati gli ultimi esami." Un cenno al plico lì avanti a lui. "Quei bastardi lo hanno conciato male, ma si riprenderà. Lo teniamo ancora un po' in coma farmacologico, almeno finché non andrà meglio, ma non sembra che il trauma abbia lasciato danni cerebrali permanenti."

Mary cede. Comincia a singhiozzare in silenzio, coprendosi la mano con la bocca e piegandosi appena, e il marito le strofina la schiena, quasi di riflesso. Sta ancora guardando il suo collega, il suo amico.
"Julien...non hai mai fatto quella faccia per nulla. Che cosa c'è che non va?". Insiste, cercando il contatto oculare con il dottore, che continua a sfuggirgli.

Un breve silenzio e poi Julien sospira, portandosi una mano alla montatura degli occhiali.
"Oh, Dio...non avrei mai creduto di dovervi fare una domanda più imbarazzante." Esita talmente tanto che perfino Mary smette di singhiozzare.

"Il fatto è che...vorrei sapere se...qualcuno della vostra famiglia per caso è...accidenti..." Julien si toglie gli occhiali, per pulirli, e sospira di nuovo, sistemandoli e prendendo un'espressione seria.
"Nelle vostre famiglie c'è qualche mutante di cui siete a conoscenza?".

"...Cosa? Mutanti?" Domanda Mary, alzando la testa con così tanta veemenza che le vertebre schioccano. "No, no...non che io sappia...che significa...". L'occhiata tremante che rivolge ad Alexander la fa impallidire.
I suoi occhi sono sgranati, le dita affondate nei braccioli della poltrona.

"Non può essere."

Abbassando lo sguardo, quasi vergognandosi, il dottor  Rodriguez estrae alcuni fogli dal plico, allungandoli gentilmente verso i due coniugi. Mary li afferra con la veemenza di un rapace, scorrendoli con occhi ancora umidi.

"C'è un'evidenza abbastanza marcata della presenza del gene X. Abbiamo avuto il sospetto quando la polizia ci ha riferito le testimonianze di alcuni dei ragazzi che erano con lui e sono andati a cercare aiuto, ma..."

"Non è possibile. In questi mesi Brendan ha fatto analisi su analisi, non c'era niente, è impossibile che...Al". La moglie comincia a scuotergli il braccio, disperata, la voce rauca. "Al, diglielo tu..."

"Nessuno stava cercando. Non avrei mai immaginato, non c'è nessuno..." La naturale pacatezza di Alexander cede di fronte a quella novità, e lui deve fare uno sforzo cosciente affinchè le sue labbra non comincino a tremare.
"...cos'è?".

Julien scuote la testa, gli occhi pieni di comprensione.
"Non lo sapremo per certo finchè non si sveglierà. Avete parlato di mal di testa persistenti e malori, vero?" Il dottore stringe le labbra quandi i due annuiscono, sperduti.
"I testimoni hanno riferito che il ragazzo che ha assalito Brendan per primo menzionava cose...strane. Diceva che gli stava parlando senza aprire bocca."

"Un telepate." Mary anticipa tutti, pietrificata sulla sua sedia, affondando poi il viso tra le mani. Stavolta Alexander non se ne accorge nemmeno. Fissa ad occhi sgranati Julien, e lui per un attimo quasi teme un infarto.

"...Posso..." Comincia, senza saper bene che dire, afferrando dei plichi pubblicitari sulla sua scrivania.
"Non dovreste preoccuparvi...in fondo è un potere perfettamente gestibile. Dopo il primo periodo di aggiustamento vedrete che riuscirà a conviverci. In fondo, un mutante non è diverso dalla normale popolazione..."

Mordendosi la lingua, Julien continua, esitante.
"Ci sono alcuni gruppi di ascolto per casi del genere in città, se vi va. Scuole per...quelli come lui... un po' in tutti gli stati... Per Brendan potrebbe essere uno shock. Dovreste prendere in considerazione l'idea che..."

"No. Non abbiamo bisogno di alcun aiuto." La risposta del professor Scott è così veemente che Julien sobbalza. Alexander è rigido, e lo sta guardando male.
"Brendan starà benissimo".

"Ma..."

Il gesto dell'uomo taglia tutte le proteste del dottore, e il suo sguardo lo gela sul posto. C'è tanto disprezzo, tanta angoscia, tanto senso di colpa in quello sguardo, che perfino Julien si sente soffocare.
"Se la caverà alla grande. Non ha bisogno di tutte quelle sciocchezze. Tu pensa a rimetterlo in piedi."

Alexander fa alzare la moglie, anche se lui stesso non sembra in grado di reggersi bene sulle gambe.
"Ti ringrazio degli aggiornamenti, Julien. Ora è meglio se andiamo, è tardi. Coraggio, Mary...su..."

Julien non si alza nemmeno dalla sua sedia, in mano ancora i piccoli opuscoli colorati, e li guarda uscire dalla sua stanza, abbracciati come naufraghi in mezzo ad una terribile tempesta, una di quelle troppo grandi per loro.

La porta si chiude, e il dottore sospira, scuotendo la testa.
"Non va bene."
Una fiammella nasce dal palmo della sua mano, dal nulla, bruciando tutti gli opuscoli.

Julien non pensa nemmeno a togliere la cenere ancora calda dalla scrivania. Se ne va così, a testa bassa, portando con sè il plico di fogli.
La sua espressione è ancora più cupa di prima.