"Se dovessi fare una scala da uno a dieci di cosa è peggio, penso che non esiterei." Brendan lo mormora alle magliette che sta piegando con veemenza, quasi gli avessero fatto un torto personale, scuotendo la testa come un cane bagnato. "E ora parlo anche agli oggetti. Meraviglioso. Davvero fantastico."
Guarda con uno sbuffo sprezzante la lista di piccoli compiti ripetitivi che si è dato per riempirsi la mente, riprende a piegare e sistemare gli abiti invernali. Si ferma ogni tanto quando la stanchezza ha la meglio e la testa ciondola, un momento appena prima che il telepate si riscuota.
Il sonno gli sfugge e forse è meglio così. Nei sogni non è mai solo.
La sensazione che rimane più a lungo è quella di essere afferrato,come trascinato da un'onda montante ed arrabbiata che lo fa svegliare con il singulto del naufrago che cerca un'ultima boccata d'aria prima di tornare con la testa sott'acqua, sicuro di non riemergere.
Sogna spesso l'ufficio, all'Osservatorio o anche alla YGS, quello piccolo che non ha mai cambiato in tutta la sua carriera da Professore a Preside. Non importa quale sia, perché puntualmente si riempie di persone, passate e presenti. Di rimpianti, di successi. Chi ha lasciato andare, chi se ne è andato, chi è tornato o chi non è mai rimasto. Amici o nemici o estranei che non hanno mai il volto abbastanza nitido per poterli guardare negli occhi. E lo afferrano. Lo trascinano in mille direzioni, strappando abiti e pelle fino a quando di lui non rimane niente, sommerso da una marea umana che mormora e aumenta.
O corre, corre per le strade di Philadelphia, di Albany, tra le dune di un deserto bagnato dalla luce di più lune. Corre per la YGS, il Freedom Park, Ghost Road, per il parco sotterraneo di Groundwater, corre lungo Memory Lane o per le viuzze della zona industriale. Corre e non si ferma, perchè non è solo, c'è qualcuno dietro di lui ed è meglio che quel qualcuno non lo trovi mai. Corre e continua anche se sa benissimo dove arriverà, in una piazza vociante di cui continua a sentirsi gli occhi addosso.
Non smette mai di sentirsi tutti quegli sguardi ostili addosso, è la cosa peggiore.
"Ma certo che è la cosa peggiore, idiota che non sei altro, e questo ti insegna che sei un gran pezzo di coglione." E Brendan se la prende ancora con le magliette quando le posa nell'armadio con un gesto brusco. "E tutto questo perché non sai stare al tuo posto."
Il telepate si gira con uno scatto per recuperare altri abiti dalla pila dei piegati, ed è in quel preciso momento che il mal di testa, rimasto fino a quel momento in background, esplode senza preavviso. È accompagnato da un'ondata di nausea che lo fa barcollare e ringraziare sia a stomaco vuoto.
Quando riapre gli occhi non è solo. La folla dei sogni lo ha raggiunto di nuovo anche nella realtà, riempiendo fino all'impossibile l'ambiente. Tendono le mani, decisi a trascinarlo via. Non lo aiuta la consapevolezza non siano reali. Lo sembrano.
"Andate tutti via!"
"Non di nuovo..."
I fratelli Scott si sono dati il cambio da quando è tornato da Veda, prendendosi il loro spazio nella piccola casa senza chiedere il permesso.
A Constantine, già in cappotto e cappello, basta sentire quell'esclamazione strozzata per fare capolino nella camera. L'avvocato Scott glitcha come molti di quelli che sono tornati durante la seconda guerra di Magnus: sparisce per una frazione di secondo e riappare nel momento in cui vede il fratello addossato ad una parete, le mani avanti come se dovesse tenere a distanza qualcosa o qualcuno, impegnato a tenere a bada un nemico che evidentemente lo terrorizza, ma che non esiste.
"Brendan..." Un sospiro, ma Constantine Scott non si muove dalla porta. Ha imparato, grazie a un bel po' di emicrania, che in quel frangente è meglio non avvicinarsi.
Allo stesso tempo, l'esperienza gli ha donato un paio di assi nella manica. Batte le mani un paio di volte, abbastanza forte da lacerare il velo che separa il telepate dalla realtà.
Brendan sobbalza e lo osserva, il fiato corto. Per un momento, un attimo solo, non lo riconosce. Batte poi le palpebre, e si riscuote quando la stanza torna vuota a parte per il fratello maggiore, che finalmente si avvicina quando lo vede abbassare le braccia, tossendo per la nausea che ancora gli avvinghia lo stomaco, lottando per riprendere fiato.
Constantine si limita a mettergli una mano sulla spalla, con cautela, lasciando che si sieda sul pavimento. Anche lui lo imita.
"Ehi. E' tutto ok, datti un momento. Non c'è nessuno qui a parte noi."
Ci vuole un altro po' per calmarsi completamente, e Brendan si strofina la faccia con le mani, appoggiando la fronte sulle ginocchia fino a quando il cuore non la smette di battere impazzito. La voce, quando riesce a parlare, è rauca.
"Puoi smetterla di fare la femminuccia. Sto bene."
"Sì, e noi siamo in una rock band." Il rampante avvocato Scott parla ormai con naturalezza di lui e della simbionte, Lady Ywain, come se fossero nati uniti. "Fammi il piacere, e permettici il lusso di mandarti a fanculo."
Il telepate non gli risponde, e e due rimangono seduti in silenzio sul pavimento, fianco a fianco. Constantine è il primo a riprendere la parola, con un cipiglio preoccupato. È un'espressione che non riesce ad abbandonargli il viso nemmeno quando sorride.
"Credi che...smetterà?"
Brendan evita lo sguardo del fratello maggiore, e alza le spalle senza sapergli rispondere. Il silenzio che segue è molto più lungo e pesante, e dopo un po' il telepate si rimette in piedi, stiracchiandosi. Constantine lo imita ancora, come un'ombra.
"Ma non te ne dovevi andare?"
Il simbionte si indica il cappotto."Sì, stavo per farlo. Sei sicuro? Posso rimanere un altro po' qui, ho portato..."
Il telepate ferma il monologo ansioso del fratello mollandogli una pacca sulla schiena e accompagnandolo alla porta, cercando di mettere insieme tutta la vivacità che può fare finta di avere.
"Lascia perdere, e torna a casa tua. Te l'ho detto, se ho bisogno di qualcosa vi chiamo, basta che chiudi la porta, ti ho detto dove mettere le chiavi. Non rimango solo per tanto..."
"Chi..."
Constantine apre la bocca per dare voce alla sua perplessità, ma poi il viso si illumina con un barlume di comprensione quando mette insieme i pezzi.
"Ah. La rossa di ieri sera, mh? Approvo. Ha delle belle..." Si blocca chiaramente combattuto, proprio mentre sta gesticolando in maniera abbastanza eloquente. "Il servizio di Censura Simbiontica mi suggerisce di usare termini rispettosi"
Poi ghigna. "Quasi temevo ti fossi dato al celibato. Quindi, quand'è che la possiamo conoscere?"
Brendan stavolta lo spinge via oltre l'uscio, ignorando le sue proteste sonore e tutto meno che serie. "Nel tuo caso, mai. Via ora. Sciò. Ricorda la chiamata da fare con Mike."
Riesce a chiudere la porta con uno scatto e poi vi si appoggia, sospirando e ancora massaggiandosi la testa. Lo sguardo si posa sul divanetto nella cucina soggiorno, e gli scappa un sorriso, uno di quelli che in quei giorni sono rari.
Questa volta non è un balletto senza speranza. Non ha la costante sensazione di essere finito in una rete sottile che lo taglia e da cui non riesce a liberarsi, non è una passeggiata tra le spine e i rovi. Ora, anche quando ci sono onde più aspre gli sembra di essere in un mare che riesce a navigare, e stavolta accoglie quell'impressione con un senso di assoluta familiarità.
Brendan si avvicina al divanetto per sfiorarne un bracciolo e sta per accomodarsi, quasi volesse cercare ancora un po' del calore e di quella delicata parvenza di pace, quasi volesse risentire nele orecchie il battito calmo del cuore, ma si ferma e cambia idea.
Si allontana, torna con la sua chitarra, ci vuole un momento per accordarla. Si siede.
Poi inizia a suonare, e per un po' dimentica tutto.