domenica 28 gennaio 2018

Fred Astaire


 We are always happy.

Quando torna  all'Underground Base Brendan ha ancora gli occhi pieni di lucciole, le narici impastate dal profumo di troppi fiori che Flora ha fatto comparire all'Edificio, le orecchie piene di musica.
Ancora accenna qualche passo di ballo, canticchiando tra sè e sè, facendo finta di schivare pozzanghere inesistenti che ha evitato lungo la strada per arrivare a Groundwater, accennando qualche passo di tiptap con un ombrello immaginario.

Sulle mani, sui vestiti ha ancora il calore di una ragazza con i capelli rossi con cui ha ballato sfidando il ritmo di una canzone e prendendo in giro gli altri.
Sulla lingua ha ancora il sapore amaro di abbracci mancati e lontani e del ricordo di capelli neri che sventagliano l'aria. Gli angoli delle labbra gli fanno male per i sorrisi che ha dovuto forzare.

Cammina leggero come chi non ha un pensiero al mondo, o forse come chi è abituato a muoversi ormai in punta di piedi nel suo stesso universo.
Quando torna nel suo alloggio controlla come prima cosa un vecchio cellulare muto, e poi si volta ad osservare facce conosciute e sorridenti che lo osservano da dietro un vetro e oltre il muro del tempo. Il senso di calore che lo invade è così sbagliato da fargli male.


 You still hope. 'Cause that's your nature, you're like me, and we do not give up hope. But... «Le spalle si scrollano.» Everything looks damaged.

Nelle fotografie non c'è danno.
Brendan posa la chitarra accanto ad una parete e prende quella davanti a tutte.
Avevano ballato un sacco il giorno del loro matrimonio. Era stato un giorno di festa come quello, ma quante facce non c'erano più, e quante altre erano cambiate?
Un sospiro, uno di quelli pesanti. Quel giorno c'era stata la neve.

Il maltempo sembrava aver segnato ogni tappa, dai baci timidi sotto un ombrello improvvisato alle volte in cui ascoltavano la pioggia cadere stesi a letto, certi di essere in un nido sicuro.

Brendan ha ancora i capelli umidi di pioggia. E' una pioggia fredda quella, piena di ricordi e della fatica di essere quello che non è, chi non è, giorno dopo giorno dopo giorno.

Il rumore di un messaggio gli fa posare la fotografia, la mano corre al cellulare ancora prima che il cuore sussulti.
Non gli ci vuole molto, forse niente a leggerlo, gli occhi stanchi che fanno avanti e indietro su quelle due parole.


Con calma, Brendan posa il cellulare sul comodino.
Senza preavviso tutte le fotografie di tempi andati vengono scaraventate a terra da un gesto furioso del suo braccio che spazza la scrivania.

Il fragore di vetri infranti si sente anche fuori dall'alloggio.
Quando anche l'ultimo vetro si è spezzato, il respiro affannoso come se avesse corso, Brendan si gira semplicemente per andare a prendere una busta della spazzatura e cominciare a pulire fino a mattina inoltrata.