giovedì 25 agosto 2016

A drop in the bucket

Albany, 07/08/2024, ore 3.57



Alexander si sveglia di soprassalto dal suo sonno leggero: una moto sta passando sotto casa sua, il rombo profondo del motore che d'improvviso si spegne. Un rumore troppo vicino.
Il dottor Scott dà una gomitata alla moglie, che gli dorme beatamente accanto.


"Mary. Mary!"


"...Mh"


"L'hai sentito?"


"Mh?"


"Qualcuno si è fermato qui vicino."


"Mh...che vuoi che sia? Lo sai che ore sono? Al...dormi..."
La donna si gira dall'altro lato senza nemmeno dire un'altra parola, e il respiro subito le torna pesante.


Alex invece ha scoperto che, con l'estate e gli acciacchi della mezza età, è diventato molto più difficile riprendere sonno.
Quel silenzio, dopo il rombo della moto, però è invitante, tanto. Sta per richiudere gli occhi, rassicurato, quando altri suoni, tintinnio di chiavi e una porta che si apre, lo consegnano definitivamente al mondo dei vivi.


La paura lo invade come acqua gelida, gli restituisce lucidità e capacità di decisione.
Senza svegliare la moglie, il medico decide di alzarsi, evitando le pantofole per non fare rumore. Sono soli in casa: Hector si è da tempo trasferito al college, Constantine ha la sua vita e i suoi problemi e Brendan...beh, meglio non pensare a lui.
La loro zona non è più sicura come un tempo, tanto da spingerli a considerare un trasferimento. Troppa gente conosce la mutazione del loro secondo figlio, e troppi di loro hanno il sangue bollente.


Nel frattempo, il dottor Scott ha pensato ad armarsi, a suo modo.
Da sotto il letto, con un'elasticità che non credeva ancora possibile per i suoi cinquantotto anni, prende una mazza da baseball ed esce dalla stanza da letto, scendendo le scale silenzioso come un gatto.


Non è altrettanto silenzioso lo sconosciuto: dopo aver aperto e richiuso la porta è andato a sbattere contro il nuovo portaombrelli, facendolo cadere. Alexander riesce a sentire anche il borbottio di quelle che devono essere di sicuro bestemmie.
Lui continua a strisciare, rasente al muro, fino a quando, nel buio, non nota una figura proprio davanti alla finestra. Alza la mazza, pronto a colpire.


In quel momento, la luce si accende.
"Ehi ehi ehi ehi!" Brendan fa cadere il suo vecchio zaino nero e fa un salto all'indietro, spaventato, alzando le mani come un ladro preso di soppiatto. "Giù quella cosa!"


Ad Alexander per poco non viene un infarto. Guarda suo figlio portandosi una mano al cuore, e la mazza da baseball cade sul tappeto.
"Cosa...come...quando...." Il suo volto è talmente rosso e congestionato che l'espressione di Brendan si fa terrorizzata, ed è quasi sul punto di chiamare qualcuno quando a suo padre torna la voce.


"Come hai fatto ad entrare?"
Un sogghigno, e il telepate fa roteare sull'indice un assurdo portachiavi, un gattino stilizzato. Lo spavento si sta trasformando man mano che torna il colore sul viso di Alexander, e ora lui sembra divertito.


"Ho ancora le chiavi di questa casa, sai? Ciao, pà, come stai? Ooh, ciao figlio, che bello rivederti, mi fa così piacere..."


Il suo sproloquio così familiare strappa un'espressione esasperata ad Alexander, e per un attimo è tutto così normale da essere doloroso.


"Avresti dovuto avvisarci."


Il sorriso di Brendan si fa contrito al tono del padre, e lui si stringe nelle spalle.
"Sorpresa."


Per poco Alex non lo rimprovera, per poco non lo tratta come il ragazzino che un po' è sempre stato...ma non ci riesce e, con sua sorpresa, si ritrova senza parole.
C'è qualcosa di strano nel suo secondo figlio, qualcosa che non riesce a decifrare.


Non è nemmeno passato un anno da quando si è trasferito a Philadelphia, ma, per qualche motivo, sembrano eoni.
Brendan è stanco e si è lasciato un po' crescere la barba, un'ombra appena. Deve essere dimagrito un po', e questo lo rende ancora più allampanato del solito. Il suo gusto nel vestire non è cambiato, camicie strane e colori stridenti, e sopra indossa una giacca nera. Una giacca da motociclista.
In mano ha anche un casco, un orrore pieno di adesivi colorati, ma non è questo che lo rende tanto diverso. Sembra quasi un estraneo.


Alex non riesce a definire cosa ci sia di anomalo, e si ritrova a prendere tempo.
"Sono le quattro del mattino, Brendan...ti rendi conto?"
Il telepate ha il buonsenso di arrossire.
"Ho un po' improvvisato. Ho finito tardi a lavoro, poi me la sono presa comoda sull'Interstate. Non pensavo di svegliarvi, avrei dormito sul divano..."
 
"Come sei arrivato?"


Anche suo figlio lo sta scrutando e, sotto il ghigno onnipresente e fastidioso, sembra provare la sua stessa attenzione tesa.
"La mia moto, no?" E mugugna, alzando gli occhi al cielo allo sguardo stupito del medico.
"Giusto. Sì, ho una moto. E no, non potevo prendere l'aereo. La corriera è fuori questione, scordatelo. Dai pà, evita quella faccia... sono solo tre ore di viaggio, mica mi sono trasferito in Alaska!"


L'esasperazione ironica nella voce del giovane gli fa venire voglia di prenderlo per le orecchie, ma quando Alexander si muove il corpo agisce da solo, come se avesse una propria volontà.
Le braccia stringono il telepate in un abbraccio caloroso, che lui ricambia senza esitare.


"Non sparire mai più."
Brendan si becca il successivo schiaffetto sulla nuca di buon grado, senza smettere di ghignare.
Anche questo è cambiato. L'ultima volta che era stato lì sembrava un galeotto, tutto occhiate sfuggenti, smorfie e mezzi sorrisi ansiosi celati sotto le solite chiacchiere irritanti.
E gli abbracci...dopo quell'incidente dei suoi sedici anni non si era mai più fidato abbastanza della sua stessa famiglia da accettare un abbraccio senza cercare di allontanarsi subito dopo.
Era stato così per anni.


"Va bene, un pochino me lo merito. Ma sono stato incasinato da morire, nemmeno te lo puoi immaginare quello che succede giù nella vecchia Philly..."
Alexander scruta il figlio, con un rigurgito di preoccupazione. Lui ricambia lo sguardo, e stavolta è il dottore il primo ad abbassarlo.


"Teniamo d'occhio le notizie: lo so quello che sta succedendo, Brendan. E ci preoccupiamo."


Il telepate si limita ad annuire, facendosi di colpo più serio, ma non dice niente per il momento, limitandosi a prendere atto della cosa, con fare un po' vergognoso.
"Scusa. Mi faccio sentire più spesso, te lo prometto."


 Poi allunga il collo, guardando dietro le spalle di Alex.
"Mà? Dov'è? Sta bene?"


Il dottore ride sotto i baffi, annuendo.
"Te la vado a chiamare. Aspetta solo che ti veda..."


L'occhiata spaventata del figlio lo fa ridacchiare, mentre lui sale le scale, ancora distratto.
Saranno pure cambiate tante cose, ma il sacro terrore della mamma è ben impresso nei geni di tutta la famiglia Scott.


Ma cosa c'è di diverso in Brendan? Perché ha l'impressione di parlare con lui, ma allo stesso tempo di trovarsi davanti un perfetto sconosciuto?
Forse il modo in cui sostiene lo sguardo.


Ecco, forse è proprio questo: Brendan sembra sicuro di sé.
Si muove, lo guarda e si rivolge a lui come ad un pari, con l'aria decisa di ha capito quale sia la strada da percorrere. Non è più un ragazzino vergognoso, smarrito in un mondo che non capisce. No, non può nemmeno chiamarlo ragazzino, non più.



Mary è veloce a svegliarsi, una caratteristica quasi innaturale che nessuno dei suoi figli ha ereditato.
Da saltare fuori dal letto a prendere letteralmente per le orecchie suo figlio, parecchio più alto di lei, strillandogli una sfilza di rimproveri che sembra infinita, è un attimo.


"Cosa ci fai qui? Ah, ti limiti a mandarci messaggi di tanto in tanto e ora compari all'improvviso, senza dire niente? Non è modo di fare, ti rendi conto? Potrei cacciarti di casa! E poi...arrivare con una moto! Una moto, capisci? Che ti passa per la testa? Sono le quattro del mattino, brutto irresponsabile, chi ti ha insegnato a comportarti in questo modo? Io no di sicuro! Ti sei bevuto il cervello? Tuo padre poteva farti male! Poteva venirgli un infarto! Potevamo avere un cane! Poteva morderti! Potevamo aver messo un allarme! Finivi in carcere!"


Brendan subisce in silenzio la sequela crescente di timori, ma niente, non riesce a smettere quel sorriso impudente che fin da bambino gli costava continue punizioni.


"E' bello vederti in forma, mà."
Si limita finalmente a dire, approfittando di un momento in cui la madre si è fermata per prendere fiato.


Mary lo guarda a bocca spalancata come un pesce senz'acqua, e per un attimo sembra quasi voglia rifilargli un possente ceffone.
L'espressione di Brendan si fa a dir poco scioccata quando invece anche lei lo abbraccia con una forza tale da fargli quasi mancare il fiato, guardandolo poi con gli occhi umidi di chi sta soffocando le lacrime.


"Cretino che non sei altro. Vieni, ti preparo la colazione."









Ormai è quasi l'alba, ma casa Scott è in movimento già da un po': nessuno pensa più a dormire.


"Quindi sei un professore, ora?"


Brendan arrossisce quando nota gli sguardi increduli di entrambi i genitori, e fa in fretta a mandare giù il pancake che sta mangiando.
Ha spiegato loro la situazione in poche semplici parole, ma a quanto pare la confusione sembra aumentata.
"Un insegnante, piuttosto, non usiamo parole grosse. Mi occupo più che altro di dare una mano....a persone simili a me. Che, mi ci vedete a insegnare storia?"
Lui ridacchia, ma non può fare a meno di notare come l'incertezza di Alexander e Mary non sia diminuita nemmeno di un po'.


"Ma...è pericoloso! Dopo tutto quello che sta succedendo alla YGS di Philadelphia... dopo la votazione...perchè vai in cerca di guai? Non ti è bastato..." Alexander sembra rendersi conto di aver detto una parola di troppo, e deglutisce a fatica.


"No. Quello che mi è successo è bastato ed avanzato per una vita intera, ma non si tratta più di andare in cerca di guai."

Il sorriso del telepate si fa un po' storto, e per qualche attimo la sua mente vaga.
Vaga fino a ricordare la furia di uno scorpione gigantesco spuntato da una voragine nell'asfalto, giri di notte per stradine sconosciute con il vuoto in testa, un'esplosione nei pressi di un locale e il suono secco di ossa che si spezzano. Delle sue ossa.
Vaga verso ricordi di un Natale troppo recente passato ad osservare il fondo di un bicchiere, quando solo l'intervento di un volto davvero amico gli aveva impedito di trovare un punto abbastanza alto da cui prendere il volo una volta e per tutte.
Vaga e ricorda di risoluzioni tentennanti e di chiacchierate notturne con un uomo pallido come uno spettro, e della promessa di ricambiare quello che gli è stato dato. Vaga fino a ricordare di tutte le volte in cui ha stretto i denti e ha ricominciato a lottare.
Ricorda riunioni ed allenamenti, ricorda proteste e persone, vive e morte, i cui volti può rievocare anche ad occhi aperti.


"E' pericoloso anche se non facessi quello che faccio." Continua deciso, stupendosi lui stesso della calma con cui affronta l'argomento.
"Siamo arrivati ad un punto in cui possiamo stare a guardare o fare qualcosa per cambiare questo schifo, e io non intendo stare fermo un attimo più del necessario. Ho imparato a gestire quello che sono, ho imparato ad usare le mie capacità e non è una cosa che mi fa paura, non più.”

Un sospiro, e il telepate continua, quasi stancamente.
“Se c'è una cosa che posso fare è usarlo come si deve, per quanto posso. Per aiutare tutti quanti, superumani o meno."

Un lungo silenzio accoglie queste ultime parole, ma Brendan scopre che non è più difficile alzare lo sguardo verso i suoi genitori e sostenerlo.


“Credete non abbia pensato alle conseguenze? A quello che potrebbe o non potrebbe capitare? Non è sempre facile, ma... È da quando avevo sedici anni che fuggo come un deficiente. Sono stato un idiota anche con voi, e non sapete quanto mi dispiace, ma...non posso più...”


“Hai ragione tu. Fanculo alle conseguenze.”

La voce che, con sorpresa di tutti, lo interrompe è quella di sua madre. Alexander sembra ancora poco convinto, ma Mary trasuda orgoglio da tutti i pori, e sta sorridendo come non l'aveva mai vista fare prima. Si precipita ad abbracciarlo per l'ennesima volta, con  tanta veemenza che per poco il giovane non cade dalla sedia.
"Lo sapevo che saresti diventato un insegnante come me!"


"Ma mamma!"