Albany, ore 6.30 del mattino, 12 ottobre 2015.
"Buongiorno telespettatori, e benvenuti alle previsioni del tempo. Sembra che le temperature non abbiano intenzione di scendere. Un'estate prolungata sta..."
Alexander spense la televisione con un gesto distratto, impegnato a imbandire la tavola per la colazione.
Quel lunedì sembrava cominciare nel migliore dei modi. Nonostante le bellissime giornate, quasi estive, a quell'ora del mattino l'aria era frizzante ed autunnale. La luce era ancora soffusa, ma già cominciava ad illuminare il soggiorno di casa Scott.
Tutto era beato silenzio, finché...
"Ragazzi! A tavola! E piantatela con quella maledetta radio!" Mary, già pronta per un altro giorno di lavoro, impeccabile come sempre, chiamò i figli con voce seccata, cercando di farsi sentire al di sopra del frastuono improvviso che l'aveva quasi fatta saltare dalla paura.
"Mà, dai. Sono le sei e mezzo del mattino, ti pare il caso di strillare così? Come fai a sopravvivere a quest'ora ed essere così vivace..."
Constantine aveva ormai cominciato il college, lanciato verso una brillante carriera di avvocato. A ventidue anni era il più grande, l'unico della famiglia a non aver ereditato la zazzera riccia del padre.
Già pronto per sopravvivere al campus un altro paio di settimane, strusciando i piedi, andò a buttare il suo borsone di abiti puliti all'ingresso, senza troppe cerimonie. Sembrava seccato, e controllava il suo cellulare di tanto in tanto.
"Ti pareva...niente lezioni oggi. Hanno organizzato uno stupido convegno per spiegare quella robaccia su mutanti e cose del genere. Tsk, maledetti superumani. Se solo non avessero dato loro queste libertà, vedi come non saremmo a questo punto, oggi! E per colpa di quei mostri io devo perdere ore fondamentali per...".
Un'occhiata di avvertimento di Alexander lo fece andare verso il tavolo senza altri commenti, a testa bassa e occhi fiammeggianti.
Nel frattempo, la radio continuava ancora a rompere i timpani.
"HECTOR! SMETTILA SUBITO!"
La radio si spense, e una testa ricciuta di un biondo quasi rosso fece capolino dalla balaustra del piano di sopra, sbadigliando assonnata, ancora in pigiama.
"Ma...mam..."
"Niente ma mamma! Finisci di vestirti e fila subito di sotto!"
L'urlo di Mary era di quelli tanto perentori da far capitolare anche un uomo notoriamente testardo come Alexander, e l'allora undicenne Hector non fu da meno.
Scomparve in un attimo, riapparendo cinque minuti dopo, perfettamente vestito. Dopodiché, a tavola si scatenò la solita guerra.
Constantine ed Hector, uno di fronte all'altro, erano impegnati in una lotta all'ultimo sangue per il possesso del barattolo di miele per i pancakes.
Mancava solo una persona.
Alexander e Mary si scambiarono uno sguardo seccato.
"Ti pareva. Ah, maledizione, ci farà fare sempre tardi..." Brontolò l'uomo, alzando nel frattempo la voce per farsi sentire. "Brendan!"
"Stai a vedere che anche stavolta non ha messo la sveglia". Intervenne Constantine, sarcastico, allungandosi per fregare l'ultimo pancake da sotto il naso del fratello, che protestò vigorosamente.
"Finitela, voi due. Constantine, fai il bravo e dividi il pancake con tuo fratello, dai. Cominciamo bene la mattina, per favore..." Il giovane alzò gli occhi al cielo, ma ad ogni modo obbedì agli ordini quieti e pacati del padre che continuò a parlare. "Mary, vai tu?"
La donna non se lo fece ripeter due volte, già in assetto da guerra. "Brendan!" Urlò, avvicinandosi alle scale che portavano alle stanze da letto, al piano superiore. "Brendan maledizione, esci da quel letto... subito!".
Ancora niente, da sopra non proveniva nemmeno un sospiro. Sempre più indispettita la donna, ancora scattante nonostante l'età che cominciava ad avanzare, i lunghi capelli biondi liberi di frustare le spalle ad ogni passo, cominciò ad avviarsi per le scale.
La porta della camera di Brendan era socchiusa, e dentro era buio.
"Hai di nuovo fatto tardi ieri sera, eh? Su, muoviti. Farai arrivare tutti in ritardo e non riuscirai nemmeno a far colazione!"
Continuando a parlare, la donna accese la luce, stupendosi ogni volta dell'ordine che vigeva nella camera del suo secondogenito. Di tutti e tre era sempre stato l'unico a non aver mai avuto bisogno di rimproveri, non in quel senso. Era lui a riordinare e addirittura pulire così accuratamente che tutto riluceva come nuovo.
"Vedi che oggi c'è scuola. Se la professoressa Martin viene a dirmi che hai saltato di nuovo le sue lezioni, ti faccio vedere..." La voce di Mary si spense quando la donna osservò il letto.
Era vuoto. Coperte e cuscini erano spariti da qualche parte, e di Brendan nessuna traccia.
Invece di tradire preoccupazione, la donna parve indispettirsi ancora di più.
"Brendan! Piantala di nasconderti come un bambino ed esci fuori!" La sua voce si fece più acuta. Un mugugno, un lamento provenienete da dietro il letto la fecero andare in quella direzione a passo di marcia.
La vista di un mucchio informe di coperte la fece infuriare e, con un gesto rabbioso, Mary ne afferrò un lembo, tirando via con tutte le sue forze.
L'allora sedicenne Brendan Scott, mezzo vestito, si era rifugiato testa contro il cuscino, mani premute contro le orecchie e occhi serrati.
"La luce!" La richiesta del figlio, così lamentosa da sembrare una supplica, piantò semi di apprensione nel cuore di Mary. "Spegni la luce!"
Per un attimo, sua madre rimase ad osservarlo, accigliata, senza sapere che fare. Poi, poggiandosi le mani sui fianchi, fece per ribattere, piccata.
"Non di nuovo mal di testa! Che hai combinato? Hai di nuovo rubato dall'armadietto dei liquori di tuo padre o hai fatto le ore piccole a vedere i tuoi stupidi film? La prossima volta ti taglio la corrente!"
Brendan fece per rannicchiarsi, digrignando i denti, e i semi cominciarono a mettere radici. Più dolcemente, allungandosi per accarezzargli la spalla, Mary sembrò consolarlo. "Coraggio, alzati. Vedo di trovarti qualcosa per il dolore..."
Venti minuti più tardi Brendan era seduto al tavolo nella sala da pranzo, distratto e pallido come uno spettro.
Alexander e Mary, ormai alla porta, stavano parlottando a bassa voce. L'autobus era già passato per prendere Hector.
"...no. Non poteva prendere niente..."
"Sei sicuro? Potrebbe aver fatto comparare qualcosa dai suoi amici. Sai che gira con quei tipi più grandi dell'officina..."
"Mary...se il signor Summers avesse scoperto una cosa del genere ce l'avrebbe detto, e fidati che l'avrebbe scoperto. Questo fatto non mi piace..."
Ancora parlottando, i due coniugi si chiusero la porta alle spalle.
Restava solo Constantine.
"Farai tardi." La voce di Brendan era solo un mormorio e lui, nonostante i medicinali, non aveva toccato la colazione, e fissava la tazza dei cereali, nauseato. "Hai lezione...".
"Stronzate, fratellino. Tu stai male e da solo non ci vai a scuola. Se continua così ti porto al pronto soccorso e poi vedi che infarto viene a papà."
Il giovane riuscì anche a sogghignare, senza però riuscire a nascondere l'apprensione. "Bel trucco, quello del mal di testa, ma mi sa che con mamma non attacca. Va meglio?".
La totale mancanza di reazioni del fratello riuscì a preoccupare ancora di più Constantine, che si portò le mani nei capelli corti e scuri. Piombò un silenzio denso come melassa.
"Brendan..." Cominciò, serio. "...stai bevendo?"
Il distratto sedicenne, i capelli ritti in testa come un nido malfatto, si girò con un movimento così repentino da farlo lamentare di nuovo e strizzare gli occhi.
"Ma sei scemo?" Era talmente offeso, nonostante il dolore, che Constantine si sentì immediatamente rassicurato. "Ti ci metti pure tu? Ieri sera sono anche andato a dormire presto... è la terza volta da cinque giorni..."
"Scusa, scusa. E' che...è strano, no? Questo mal di testa..." Il giovane piombò nuovamente in silenzio, osservando il fratello minore, e sospirando, preoccupato.
"Prometti che vai a farti dare una controllatina se continua, va bene? Ti voglio bello e pimpante per farti prendere a calci in culo quando giochiamo a basket."
Brendan annuì stancamente. L'effetto del farmaco stava riducendo il sordo pulsare della sua testa a un ronzio di fondo, molto più sopportabile, e quasi riuscì a sorridere.
Constantine rispose con un sogghigno.
"Lo sai cosa, fratellino? Fanculo il college e fanculo la scuola, oggi è una bella giornata. Prendiamo la vecchia macchina di papà e si va al parco. Andiamo a divertirci un po'!".